Roma, 5 ottobre 2024 – Solo che più solo non si può. Dopo l’intervista a Bloomberg sulla necessità di nuove entrate, sul ministro Giorgetti sparano tutti e il fuoco amico è più nutrito di quello avversario. Anche se, per la verità, i dati Istat confermano la gravità della situazione, anzi, peggiorano il quadro: la stima di crescita prevista per il secondo trimestre scende dallo 0,6% allo 0,4%. Significa che l’obiettivo della crescita all’1% è a rischio, e tra le conseguenze ci sarebbe l’aumento del peso del fisco rispetto al Pil complessivo. L’opposizione fa il suo mestiere: c’è chi se la prende con il ministro perché vuole mettere le mani nelle tasche degli italiani (Anna Ascani, Pd) e chi (il verde Angelo Bonelli) lo accusa di privilegiare i ricchi anche se il senso del suo discorso suonava opposto.
Ancora più drastici i colleghi di partito, maggioranza e governo: il capo della Lega ieri è stato il primo a botta caldissima a fissare i paletti: “Non è questo l’esecutivo che aumenterà le tasse alle persone normali”. All’ora di pranzo, il leader azzurro Antonio Tajani va più in là. “Siamo contrarissimi a nuove tasse. Finché saremo al governo, non ci saranno manovre da lacrime e sangue”. Qualche ora dopo si cimenta nell’esercizio in cui si sono dilettati in molti: reinterpretare le parole di Giorgetti: “È stato travisato”. Offre la sua versione anche la sottosegretaria tricolore del Mef, Lucia Albano: “Chiederemo un contributo alle grandi società dell’e-commerce”. Peccato che finora nessuno ci sia riuscito. In definitiva, il capogruppo di FdI, Tommaso Foti, è il meno tassativo di tutti: “Prima di commentarla, facciamo presentare ufficialmente la manovra a chi ha il compito di scriverla”.
L’occasione adatta arriverà martedì, quando è stata fissata l’audizione nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato di Giorgetti, che avrà modo di chiarire il significato delle sue parole. Così, si capirà davvero qual è la posizione della premier. La tempistica – a Borsa ancora aperta – l’ha certamente irritata, ma nel merito è probabilmente quella che più di ogni altro capisce il realismo della posizione del suo ministro. Però, in uno scenario incandescente serve cautela. Bisogna essere prudenti anche nella scelta delle parole, il messaggio che lei ha fatto arrivare ad alleati e ministri. “Bisogna lavorare per dare risposte concrete, senza offrire il fianco alle opposizioni”. I sacrifici – ragiona – non fanno parte del nostro dizionario.
I soggetti direttamente interessati sono anche più tetragoni. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, esclude la possibilità di un contributo eccezionale delle banche: “Il mercato europeo è unico, e le singole economie nazionali competono e attirano o respingono capitali. Più le tasse sono alte, più la ricchezza e i valori vanno via”. Tutto quel che le banche sono disposte a concedere è un anticipo di un anno del credito d’imposta. La sola parziale apertura arriva dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. Al termine dell’incontro con Giorgetti si dice molto soddisfatto, esalta l’identità di vedute sull’importanza degli investimenti nelle industrie. Si dichiara pronto ad alcuni sacrifici: “Siamo disposti a ripensare parte della tax expenditure. Ci sono 120 miliardi e noi abbiamo la necessità di trovare 10 miliardi, per rendere strutturali gli investimenti per le imprese”.
In realtà il problema va oltre la manovra di quest’anno. Riguarda la traiettoria da concordare con l’Europa per rientrare nei parametri in 7 anni. In questo quadro, nel ministero dell’Economia assediato si trincerano dietro il silenzio, ben sapendo quanto alta sia la tensione nella maggioranza. L’orizzonte indicato da Giorgetti per la destra è una bestemmia sul piano dei principi e delle promesse elettorali. Ma sull’altro piatto della bilancia c’è il peso di una realtà dura: in qualche modo a un contributo calibrato su profitti e ricavi si dovrà arrivare. Risolvere la sciarada tocca a Giorgia Meloni e a Giorgetti. Probabilmente con un vertice di maggioranza.