Martedì 2 Luglio 2024
COSIMO ROSSI
Politica

La partita delle poltrone Ue, Meloni scommette su un posto top. Il Ppe: “Dipende dal voto su von der Leyen”

Palazzo Chigi continua a trattare sul portafoglio del commissario italiano e il ruolo di vicepresidente esecutivo. I Popolari vogliono consolidare il proprio ruolo egemone, il nodo dell’apertura ai Conservatori

Roma, 30 giugno 2024 – “Molto, se non tutto, dipende da cosa accadrà nel voto del 18 luglio a Strasburgo", quando il Parlamento europeo sarà chiamato a confermare Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. I pronostici delle alte sfere del Ppe a Bruxelles, ma anche di Forza Italia a Roma, non ammettono indulgenze: il gioco di ruolo per l’Italia, e sul commissario vicepresidente esecutivo di alto profilo cui punta la premier Giorgia Meloni, è subordinato al viatico nei riguardi della presidente uscente.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni

Prima insomma i partiti di governo italiani devono votare Ursula presidente, con la debita eccezione per la Lega di Matteo Salvini, e solo poi potranno ottenere il debito riconoscimento nel complicato puzzle di deleghe della Commissione. Sta tutto qui il nodo che della partita europea che si è ingarbugliato nelle mani della premier. L’astensione sul bis di von der Leyen, ben più del voto contrario all’estone Kaja Kallas come Alta commissaria per Esteri e Difesa e all’ex premier socialista portoghese Antònio Costa alla guida del Consiglio, hanno posto Meloni in una posizione tutt’altro che semplice, anche se la premier vanta la propria coerenza. Perché la partita politica riguarda in primo luogo la definizione della maggioranza parlamentare che sosterrà la prossima Commissione. E solo a partire da quella si potranno delineare, non solo il programma per il prossimo quinquennio, che deve essere redatto e proposto ai governi dalla presidenza, ma anche gli incarichi dei commissari. Che non sono come i ministeri italiani, ma un puzzle molto complicato, dove si sommano e/o sottraggono differenti competenze.

Da una parte, quindi, Palazzo Chigi continua a trattare sul portafogli del commissario italiano e il ruolo di vicepresidente esecutivo, che, prima dell’incarico a Paolo Gentiloni, per l’economia l’Italia aveva sempre avuto. Anche le vicepresidenze, tuttavia, non sono tutte uguali. Delle quattro della scorsa legislatura quella con un potere reale era ricoperta dal commissario lettone per il commercio Valdis Dombrovskis, che ha coordinato le questioni economiche. E prima di lui dall’olandese Frans Tmmermans, incaricato del green deal. L’Italia contende al francese Thierry Breton, confermato da presidente francese Emmanuel Macron, il ruolo guida economico: che passi attraverso la gestione del mercato interno, dei fondi di coesione e la difesa. Un puzzle davvero complicato, insomma, che sarà definito nel corso dell’estate.

Per ora, intanto, la questione riguarda il voto sulla presidenza della Commissione. La posizione assunta da Meloni è rischiosa. Vero è che il leader del Ppe Manfred Weber, così come von der Leyen, guardavano a un allagamento a settori della destra conservatrice, a cominciare proprio dall’italiana Meloni e dal primo ministro ceco Petr Fiala. Ma in un’ottica di integrazione dei conservatori moderati sotto l’ala normalizzatrice del Ppe, non come alleati alla pari, come forse ha creduto Meloni. La rivendicazione di un ruolo per Ecr avanzata dalla premier italiana potrebbe invece far serrare le fila al Partito popolare, che vuole in primo luogo consolidare il proprio ruolo egemonico, insieme a socialisti e liberali, tanto a scapito del radicalismo ambientalista cui aveva dato credito nell’ultimo quinquennio quanto a conferma del cordone sanitario nei riguardi delle destre nazionaliste. Che in quanto tali si dimostrano frammentate.