Bruxelles, 28 giugno 2024 – Avete presente i sorrisi, le smorfie, la naturale empatia mostrata da Giorgia Meloni e dal premier britannico Rishi Sunak durante il G7 in Puglia? Se il Regno Unito fosse ancora nell’Unione europea, quell’ostentata sintonia sarebbe stata un’ottima carta per l’Italia nel risiko di Bruxelles. E invece la premier italiana nella capitale europea ha dovuto fronteggiare Emmanuel Macron con cui – lo testimoniano sempre le immagini del G7 – è palese la reciproca freddezza, per usare un eufemismo. Lei che accusa lui di usare il palcoscenico pugliese per le elezioni interne, lui che non fa nulla per ricucire. Ruggini antiche che riemergono.
Meloni vs Macron
Tra Meloni e Macron non bastano le Alpi a dipingere la separazione. Ci sono stili, idee, aspettative e interessi lontani, anche opposti. La naturale freddezza si è riacutizzata durante le trattative per i vertici Ue, non solo per questioni personali, ma innanzitutto perché Roma e Parigi nel caso della Commissione sono interessati alle stesse materie. E condividono uno stesso problema: la procedura d’infrazione per debito eccessivo. Negoziare la riduzione del debito facendo anche leva su un patrimonio di "riconoscenza", potere reale e peso politico è utile, anzi, vitale.
Il potere dei Commissari
Ai 27 commissari vengono affidati diversi portafogli: uno non vale l’altro. Italia e Francia hanno già tenuto il portafoglio economico (Gentiloni nell’ultima Commissione e prima di lui Pierre Moscovici) ma in questa tornata avrebbero puntato entrambe (secondo il Financial Times ) alla poltrona di vicepresidente con deleghe pesanti in campo di politica commerciale, concorrenza e politica industriale. Quest’ultimo è un settore collegato alla strategia industriale della difesa, uno dei nodi della prossima Commissione.
Von der Leyen lo scorso febbraio aveva detto in Germania che l’Europa ha bisogno di una delega specifica sulla difesa. Ma la difesa tocca agli Stati, la politica industriale che la sostiene invece potrebbe trovare spazio in uno dei portafogli. Il francese Thierry Breton, vicino a Macron, ha gestito negli ultimi 5 anni la politica industriale europea e si è sempre più interessato alla difesa dopo l’invasione russa dell’Ucraina. E ieri con un blitz Macron ha confermato che la sua scelta è sempre Breton.
Leader deboli
"Macron e Meloni vogliono entrambi apparire come i leader della nuova fase dell’Europa, ma entrambi sono fragili", ha osservato su FT Gilles Gressani, direttore di Le Grand Continent . La fragilità di Macron è la sua debolezza di fronte a Le Pen e Bardella che potrebbero vincere le elezioni di domenica prossima. La fragilità di Meloni è stata fino a ieri quella di guidare un gruppo politico europeo (i conservatori) per anni lasciato fuori dal ’salotto buono’ di Bruxelles dall’alleanza tra Ppe, socialisti e liberali. Una scelta che però lo stesso salotto buono sa che oggi potrebbe pagare caro, e far pagare all’Europa. Ecco perché bisogna cercare un modo di recuperare quanto meno l’appoggio dei “conservatori“ italiani e garantire così un voto blindato a von der Leyen.
La fretta e il voto in Francia
“Dare una prova di unità dall’inizio sarebbe stato auspicabile – dice Antonio Villafranca, vice presidente per la ricerca dell’Ispi –, si poteva essere più inclusivi nel meccanismo di scelta senza che questo inficiasse le nomine". Forse la fretta nel voler concludere l’accordo era stata impressa da Macron che sente sul collo il voto interno. Non è possibile dirlo con certezza. "Ma i popolari, a partire da Weber, avevano auspicato un coinvolgimento, un appoggio esterno, dei Riformisti e conservatori", osserva Villafranca. Un vero ingresso in maggioranza sarebbe impossibile per il muro dei socialisti, il no di buona parte dei liberali e i mal di pancia di alcuni popolari. Ma un "coinvolgimento" di Meloni serve, altro che. "Non è nell’interesse né dell’Italia, né della Francia, né dell’Europa che Roma stia fuori dai giochi", fa notare Villafranca. A Bruxelles si sa che l’asprezza dei rapporti tra Meloni e Macron non può pesare sulla maggioranza Ursula che teme i voti dei franchi tiratori a Strasburgo. Una Commissione sfiduciata metterebbe pericolosamente in crisi l’Europa di fronte ad America, Russia e Cina.