Milano, 24 luglio 2023 – "Non solo alternative alla detenzione, ma un investimento sul reinserimento sociale" in modo che le persone non tornino a delinquere. Per la presidente di Nessuno Tocchi Caino, Rita Bernardini, sono queste le due linee di intervento per affrontare il tema carceri. Perennemente in orbita da un istituto all’altro (al momento sta visitando tutti le carceri venete), l’ex segretaria radicale è una delle candidate al rinnovo del Garante nazionale di detenuti.
Bernardini, lei ha letto il reportage del QN su Sollicciano. Se è vero, come diceva Voltaire, che la civiltà di un paese di misura dalle sue carceri, di dove bisogna cominciare in Italia?
"Se non ripartiamo dal presupposto che il carcere dev’essere l’estrema ratio e non il luogo dove riversiamo i problemi che ci sono fuori, non andiamo da nessuna parte. L’ha detto proprio a Firenze Margherita Cassano, prima presidente di Cassazione: il carcere deve essere l’estrema razione e dare diritto alla speranza. Quindi, in primo luogo, bisogna praticare le misure alternative. Non è possibile che si siano persone malate tenute nel degrado o messe in isolamento. C’è il problema del disagio psichiatrico, che spesso coincide anche con la tossicodipendenza, ma spesso parlare con uno psicologo è un terno al lotto. E in più c’è il tema del sovraffollamento".
Che dimensioni ha?
"Al 30 giugno in Italia c’erano 57.530 detenuti per 47 mila posti. A parte il dato dei suicidi, che è sconvolgente, da giugno 2022 la popolazione aumentata di 2.800 unità. L’emergenza è uguale su tutto il territorio. Quel che dovrebbe meravigliare è che si spenda solo lo 0,6% del bilancio dello stato per amministrare tutta la giustizia. Son quasi un decina di miliardi l’anno. Di questi, neanche 6 sono per tutta l’amministrazione della giustizia penale e civile, mentre 3,2 servono per i 189 istituti penitenziari. Per le pene e misure alternative, che richiedono molto cura e evitano il carcere, spendiamo appena 280 milioni. Questo per tenere le poi le carceri e le persone nelle condizioni che avete raccontato. Quando poi escono, siccome in carcere i problemi sociali, personali, psicologici si acuiscono, senza aiuto al reinserimento spesso tornano a delinquere. Tutti i dati dicono che il carcere produce tra il 70 e l’80% di recidive. È proprio una politica sbagliata".
Il motivo qual è? La propaganda securitaria?
"Sì. Perché dicendo che si butta via la chiave i cittadini si sentono più sicuri. Ma in realtà non è una sicurezza, come dimostrano le recidive, a meno di non condannare tutti all’ergastolo ostativo. Questo al netto del fatto che stiamo parlando di cittadini. Per come viene applicato in Italia il carcere è contrario al senso di umanità. A parte casi sporadici, dal 1975 a oggi non abbiamo mai attuato la parte di ordinamento penitenziario che prevede i Consigli di aiuto sociale, preposti al reinserimento".
Diverse misure alternative ci sono già. Applicarle di più e meglio quanto aiuterebbe?
"Moltissimo. Il problema è che i magistrati di sorveglianza sono anche molto restii. Ci sono aree dove danno spesso i permessi premio e altre dove sconti fino all’ultimo giorno. Se fossero rafforzati gli Uffici per l’esecuzione penale esterna, anche i magistrati si sentirebbero più tranquilli nel disporre misure alternative".
Indulti e amnistia a parte, il parlamento cosa dovrebbe fare?
"Come ‘Nessuno tocchi Caino’ abbiamo due proposte di legge che riguardano la liberazione anticipata. Oggi si anticipano 45 giorni ogni semestre. La nostra proposta prevede di elevare da 45 a 60 giorni ogni semestre. E in più stabilisce che – a meno di problemi specifici – sia direttamente il carcere e non il magistrato di sorveglianza a stabilire lo sconto; visto che i giudici rispondono sempre con molto ritardo alle istanze, per cui a volte liberano chi è giù uscito. Poi ci vogliono investimenti: per le misure alternative, per gli educatori, per gli psicologi".