Difficile dire dove sia nata la passione “americana” di Giorgio Napolitano, il primo comunista italiano a ricevere nel 1978 un visto per gli Usa e in seguito sempre più apprezzato da Washington. Tanto Henry Kissinger lo definiva il suo “comunista preferito”.
Di certo Napolitano la lezione americana non l'ha appresa dal suo mentore politico, Giorgio Amendola, che come tutta la sua generazione e anche di più (data la moglie Germaine Lecocq) era di formazione culturale schiettamente francofona. Un retaggio di “riconoscenza” il Presidente emerito non lo ha mai nascosto per il ruolo svolto nella Liberazione dalle truppe americane, con cui l'assiduità è stata stretta nella Napoli degli anni Quaranta. E una prima seria attenzione verso la cultura anglosassone si è sicuramente accesa nel corso degli anni Settanta, in cui ha cominciato a maturare la conversione alla socialdemocrazia europea. Tramite Willy Brandt, padre della Ostpolitik, la cui Germania era il paese più americano (anche per truppe) d'Europa; tanto che i Beatles avevano fatto gavetta di rocker ad Amburgo prima del successo al Cavern di Liverpool.
Ma è stata una conversione lenta quella dell'efficiente e colto leader della corrente migliorista del Pci, che ancora nel 1974 criticava Aleksandr Solzenicyn e in tempi recenti ha sempre contemperato il proprio liberalismo con un piglio autoritario proprio della severità comunista. Conversione che ha raggiunto la sua pienezza il 15 giugno 1976, quando Enrico Berlinguer – altra sua figura di riferimento insieme a Amendola – rilasciò la famosa intervista sull'ombrello della Nato: “Mi sento più sicuro stando di qua”, rispose il segretario del Pci a Giampaolo Pansa.
Quando Berlinguer mollava la bomba contro il Patto di Varsavia, il lavorio del Pci per approdare in America era iniziato già da un anno. E proprio ad opera di Napolitano, cui era pervenuto l'invito a tenere un quel ciclo di conferenze che si sostanzierà tre anni dopo. Visto negato. “Ci sarà tempo per invitarli da noi quando arriveranno al potere”, risponde in proposito il segretario di stato Kissinger, sollecitato durante un party dal professor La Palombara, che aveva invitato il dirigente del Pci. L'anno successivo, forti delle dichiarazioni di Berlinguer, gli esponenti del Pci tentarono anche di accreditarsi per il ricevimento con Ted Kennedy. Ma ancora invano.
La temutissima, dal Pci, stagione del terrorismo rosso e nero è all'apogeo quando la vicenda si sblocca. E' il febbraio 1978. Napolitano si rivolge alla segreteria del Pci per informare dell'invito rinnovato a tenere un ciclo di conferenze, spiegando che il primo segretario dell'ambasciata Usa sollecitava la richiesta di un visto. Sono gli stessi giorni in cui il Giorno censura l'articolo di Aldo Moro sull'ingerenza degli statunitensi nella politica italiana. Evidentemente oltreoceano c'è qualche curiosità di scoprire questi sui generis comunisti italiani che Moro e Andreotti sostengono di dover coinvolgere nel governo per attuare la politica di austerità. Già dal 1976, del resto, Kissinger osservava in cerca di interlocutori che “i comunisti non sono tutti uguali”.
E infatti Napolitano ottiene il visto proprio per intercessione di Andreotti, come si è appreso da un vasto carteggio pubblicato da Wikileaks. Il dirigente comunista approda in America dal 4 al 19 aprile 1978, in pieno sequestro Moro. Vani i tentativi di rinvio perorati da Berlinguer, che accarezzava forse l'idea di volare lui in America. Napolitano vuole partire lui. E parte.
Parla ad Aspen (Colorado) e Harvard. Il bilancio politico della visita è scarso. Ma il dirigente del Pci ha il tempo di focalizzare con Newsweek il fenomeno terroristico al netto di ogni dietrologica, come “degenerazioni, fino al delirio ideologico e al crimine più barbaro, dell’ispirazione rivoluzionaria del marxismo e del movimento comunista”. E, con l'occasione, Napolitano inizia anche un “interesse reciproco” con Gianni Agnelli, di cui – sensale Furio Colombo – è ospite a Park Avenue.
Sia stato per le capacità di Napolitano o per la linea delle fermezza, dal 20 luglio 1978 cambia l'orientamento dell'ambasciata Usa a Roma. E l’ambasciatore Gardner apre le porte a numerosi esponenti del Pci, tra cui Emanuele Macaluso e Ugo Pecchioli, il facente funzione di ministro degli interni comunista.
A partire da allora, e ancor più dopo il crollo del muro di Berlino, il ruolo di Napolitano come referente degli ambienti atlantici cresce in modo esponenziale. Anche se per Washington, dove non dimenticano lo sgarbo di Sigonella e le simpatie filoarabe, l'esponente comunista sbaglia carta quando investe sul dialogo con Craxi, che morirà vituperato in Tunisia. Il resto è storia recente. A cominciare dal manifesto apprezzamento di tutti gli inquilini della Casa bianca, da Bush jr. a Obama, nei confronti dell'indefesso atlantismo, propugnato al limite dell'indulgere agli interessi anglofrancesi nel caso della guerra civile libica, del Napolitano Presidente della Repubblica. Non a caso accolto da Obama a Pensylvenia Avenue per un'inusuale visita di commiato.