Bologna, 23 settembre 2023 – Riavvolgendo il nastro: 22 febbraio 2014, Matteo Renzi - oggi leader di Italia Viva – giura da presidente del Consiglio, prendendo il posto di Enrico Letta. A dargli l’incarico il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il primo ex comunista al Colle.
Il presidente Napolitano prese una decisione non facile. Senatore Renzi, che ricordo ha?
"Un ricordo carico di emozioni incancellabili. Ma anche di dubbi, tanti dubbi. Oggi tutti raccontano lo "stai sereno", ma in realtà il passaggio fu tutt’altro che scontato. Io ero convinto che mi convenisse personalmente rimanere a Firenze a fare il secondo mandato da sindaco. Letta si era asserragliato a Chigi e si limitava a mettere il broncio a chiunque gli paventasse ipotesi alternative alla sua permanenza a Palazzo. La minoranza Pd premeva per un cambio della guardia. L’economia stagnava, le riforme erano ferme, il Paese immobile. Napolitano si convinse gradualmente a darmi l’incarico, anche per il deciso sostegno di quelli che mi avevano contrastato alle primarie ma che volevano con forza che io diventassi premier, ma la verità è che non ero la sua scelta in prima battuta. Tuttavia dal giorno dell’incarico il suo sostegno è stato decisivo".
Tutti ricordano che il presidente si oppose alla nomina di uno dei ministri da lei designati, il magistrato Nicola Gratte ri alla Giustizia. Perché?
"Ha esercitato le sue funzioni. La verità è che noi abbiamo già un sistema semipresidenziale che viene ampliato o minimizzato dalla scelta di sensibilità personale e istituzionale dell’inquilino del Colle. Ci sono stati dei presidenti che hanno svolto il solo ruolo del notaio, validando le scelte del premier incaricato. E ci sono stati presidenti che al contrario hanno rivendicato il proprio diritto-dovere di sindacare la proposta del capo del governo. Perché è il presidente della Repubblica che formalmente nomina i ministri. Io pensavo che Gratteri fosse l’unico in quel momento in grado di distruggere il sistema delle correnti e rivoluzionare l’organizzazione della giustizia. Napolitano non voleva un magistrato – soprattutto quel magistrato – alla guida del dicastero. Legittima la mia proposta, legittimo il suo diniego. Alla fine ripiegammo su Andrea Orlando".
Già con la nomina di Mario Monti nel 2011, Napolitano sembrò interpretare il ruolo del capo dello Stato in un senso più estensivo. D’altra parte è stato il primo a ottenere un secondo mandato. Segno che le istituzioni potevano – o dovevano – essere riformate?
"Che le istituzioni debbano essere riformate è un caposaldo del pensiero di Napolitano. E nel piccolo anche mio. Napolitano ha interpretato il suo mandato in modo diverso da Ciampi o anche da quello che poi ha incarnato Mattarella, che ha sempre privilegiato una visione dei poteri del Quirinale più vicina a quella immaginata da Leopoldo Elia. Ma quale che sia il modo di concepire il ruolo del presidente, la verità è che Napolitano ha lavorato tutta la vita a un percorso riformatore che non sempre si è concluso positivamente".
Appunto, a proposito di riforme: Napolitano, non più presidente, si schierò a favore del referendum costituzionale del 2016. Però non risparmiò critiche a una certa personalizzazione da parte sua...
"Mi ha criticato molte volte, dall’amnistia alle elezioni del 2018. Non le mandava a dire, ed era comunque un piacere confrontarsi con lui anche quando non la si pensava allo stesso modo. Sul referendum il discorso è più complesso della personalizzazione. Noi eravamo riusciti a far passare la riforma in Parlamento, nonostante le difficoltà di una legislatura che sembrava maledetta. Ma aver accettato numerosi compromessi soprattutto a sinistra dopo la rottura del Nazareno aveva portato a un testo diverso dal nostro originario e a un allungamento dei tempi che si è rivelato fatale. Questo fu il vero errore, assieme al non capire che l’aumento della partecipazione ci avrebbe fatto male. La personalizzazione era nei fatti e Napolitano lo sapeva: mi aveva dato l’incarico per fare le riforme, se non le avessi fatte era ovvio che avrei lasciato. Piuttosto lui criticò un eccesso di populismo nella campagna pubblicitaria, soprattutto sul taglio delle poltrone. Ma era un convinto sostenitore del progetto costituzionale".
Prima del referendum, però, c’è un’immagine che forse racconta più di altre il binomio Renzi-Napolitano: lei e il presidente, nel gennaio 2015, davanti alla tv mentre seguite lo spoglio del voto che poi porterà all’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale. A oltre otto anni di distanza, che significato dà a quel momento, storico e politico?
"Sono affezionato a quella foto perché lui era terrorizzato per il rischio di un nuovo fallimento come quello di Bersani del 2013: vedere Mattarella arrivare al quorum lo rese felice. Ma sono affezionato anche a quella in cui lui viene all’inaugurazione di Expo: era stata una scommessa la scelta di andare avanti nonostante le polemiche e alcuni scandali giudiziari. Letizia Moratti era stata straordinaria a ottenere il consenso per fare in Italia questo evento ma fu il vero primo grave problema che mi trovai sulla scrivania. E Napolitano mi aveva promesso che sarebbe venuto all’inaugurazione anche se non presidente. Fu un gesto bellissimo".
Lei una volta ha detto “se non ci fosse stato Napolitano, questo Paese sarebbe messo peggio”. Che eredità lascia?
"Quella di un uomo che crede nella politica e nelle Istituzioni. In tempi di sovranismo e populismo non è poco".