Quante e quali volte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato leggi che non condivideva e reputava addirittura "sbagliate e inopportune"? Le parole pronunciate dal capo dello Stato davanti alla platea di studenti invitati dall’Osservatorio giovani-editori, non potevano che suscitare una ridda di supposizioni, indiscrezioni e malizie riguardo ai provvedimenti legislativi deplorati dal Quirinale. A cominciare dall’ultima norma promulgata questa volta non in ritardo ma in sordina: quella che sanziona la Gestazione per altri, la cosiddetta maternità surrogata, all’insegna di un approccio affatto prescrittivo e in contraddizione con gli orientamenti della legislazione Ue. Una scelta, quella della firma ritardata o poco pubblicizzata, considerata dagli osservatori il modo più esplicito di far presenti le riserve da parte del Colle: come accaduto, ad esempio, nel caso del ddl del guardasigilli Carlo Nordio sull’abolizione dell’abuso di ufficio.
Nei quasi dieci anni di presidenza (dal 3 febbraio 2015), "più volte ho promulgato leggi che non condivido, che ritenevo sbagliate e inopportune – afferma Mattarella –. Ma erano state votate dal Parlamento e io ho il dovere di promulgare a meno che non siano evidenti incostituzionalità". Dieci anni nel corso dei quali il presidente della Repubblica ha esercitato le proprie mansioni in rapporto a sei governi: dopo Matteo Renzi – incaricato da Giorgio Napolitano e al quale Mattarella deve in parte la propria elezione –, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte I e II, Mario Draghi e Giorgia Meloni. E rispetto a questi premier, l’inquilino del Quirinale si è trovato bene anzitutto con Gentiloni e poi con Draghi. Con tutti gli altri, invece, il rapporto è stato contrassegnato da non poche divergenze di carattere soprattutto istituzionale e costituzionale: di metodo prima ancora che di merito.
Il presidente Mattarella, del resto, è un giurista formato non solo in diritto costituzionale, ma proprio nello specifico dell’attività parlamentare e legislativa. Come fanno presente dal Colle, occorre ricordare che è allievo politico di Leopoldo Elia. "Un maestro e un mito" per il capo dello Stato: esponente della Dc progressista, suggeritore di Aldo Moro, ispiratore di un’apertura della Dc alla società intesa a superare la tendenza a occupare la pubblica amministrazione e fautore della relazione tra diritto costituzionale e vita politica, a iniziare dal ruolo dei partiti.
Mattarella è perciò ispirato innanzitutto dalla coerenza alla dottrina costituzionale. E da questo punto di vista il suo principale elemento di attrito rispetto ai governi è rappresentato dall’abuso della decretazione di urgenza. Da Caivano agli altri interventi sulla sicurezza, i migranti o i rave party, il capo dello Stato non ha apprezzato il ricorso alla decretazione da parte del governo Meloni. Sia per le dubbie motivazioni di urgenza, sia per il fatto che in sede di approvazione il contenuto dei decreti sia stato spesso esteso. "Provvedimenti omnibus e maxi-emendamenti" non sono apprezzati dal Quirinale. È successo ad esempio con una legge Finanziaria del governo Conte Uno. Ma che con Renzi il capo dello Stato è entrato in attrito sia sulla decretazione di urgenza che sulla legge elettorale, il cosiddetto Italicum. In questo contesto il Colle ha sempre cercato di operare la propria moral suasion finalizzata alla "riduzione del danno", per cercare di mitigare gli eccessi di trasgressione alla dottrina da parte degli esecutivi.