"Non consentirò che una soluzione che rispetta il diritto italiano ed europeo venga smontata". Dopo due giorni di silenzio diplomatico per evitare ulteriori tensioni con il capo dello Stato, Giorgia Meloni sceglie la festa per gli 80 anni del Tempo per riprendere l’attacco. Però con qualche cautela, evidentemente imposta dalla necessità di non tornare ai ferri corti con il Quirinale. Chiarisce infatti che a voler bloccare il modello Albania, "proprio perché può essere la chiave di volta di un altro approccio al tema dei flussi migratori" sono i politici "non i magistrati". In effetti, i rapporti tra premier e presidente della Repubblica sembrano rientrati almeno alla normalità dopo una tensione altissima, in cui si è registrato forse il punto più basso dall’insediamento di questo governo. Galeotta anche una chiacchierata a quattr’occhi al termine del Consiglio supremo di difesa, dove Mattarella e Meloni hanno affrontato per una mezz’oretta diversi argomenti, tra i quali naturalmente anche il caso Albania, in un clima descritto come "positivo".
Poco dopo il sospirato decreto ’Paesi sicuri’ è arrivato al Colle e il presidente ha firmato immediatamente il provvedimento: ora il Parlamento ha 60 giorni per convertirlo in legge. Non c’erano mai stati dubbi, la scelta di modificarlo rispetto al testo concordato con gli uffici giuridici del Quirinale, che conteneva solo la lista dei 19 paesi sicuri, si è imposta quando a Palazzo Chigi si sono resi conto che, così limitato, il provvedimento non modificava in nulla la realtà. L’aggiunta del passaggio sul ricorso alla Corte d’appello contro le decisioni i in materia di rimpatrio del Tribunale invece che in Cassazione serve proprio a poter dire che "qualcosa di diverso adesso c’è". Nella forma e nella sostanza. Ma nella valutazione dei tecnici del Colle è una modifica accettabile. Ben diversa dagli obiettivi iniziali dell’esecutivo che mirava a sottrarre ai magistrati la facoltà di invalidare i trasferimenti. Il ritardo non era dovuto a problemi con il Colle ma alla necessità di trovare le risorse necessarie a coprire i costi del decreto. In particolare, gli straordinari da pagare ai giudici della Corte d’Appello.
Diplomazia a parte, l’ira della premier che assicura di "non essere complottista" è evidente: "Lo stop ai trattenimenti è iniziato ben prima dell’Albania". Spiega che la decisione del tribunale di Roma che ha determinato il ritorno in Italia dei 16 migranti appena trasferiti "è irragionevole perché non riguarda il tema dell’Albania ma tutti gli immigrati illegali che arrivano da alcune nazioni. È strumentale". Qui i toni diventano quasi minacciosi: "Avevo messo in conto che ci sarebbero stati degli ostacoli ma li supererò. Se ci saranno altri problemi continueremo a convocare il Consiglio dei ministri per risolvere i problemi". Inevitabile e tutto sommato persino giustificata la stoccata finale contro l’opposizione sulla procedura d’infrazione: "Non è normale che rappresentanti italiani vadano in Europa a chiedere di aprire una procedura di infrazione contro il loro Paese. In pratica chiedono di punire gli italiani per non aver votato come volevano loro". Purtroppo, chiosa, c’è "menefreghismo del voto".
Nel suo stile più involuto e meno diretto tiene alti i toni anche il guardasigilli Carlo Nordio. Annuncia nell’aula della Camera che gli ispettori del ministero della Giustizia sono pronti a valutare il caso di Marco Patarnello. Considera la vicenda del sostituto procuratore della Cassazione, che in una mailing list dell’Anm aveva definito ’pericolosa’ la premier tuttora aperta: "È al vaglio per la verifica dei presupposti per l’esercizio dei poteri ispettivi che la legge riserva al ministro". La sua affermazione "è di una gravità da prendere in considerazione". E torna sull’ordinanza del Tribunale di Roma e la definisce "inottemperante alla sentenza della Corte europea".
Insomma, lo scontro – certo non per la gioia di Sergio Mattarella – continua. Per questo, il governo ha deciso di accelerare il cammino della legge sulla separazione delle carriere, malgrado una lettera inviata dall’Associazione europea magistrati esorti l’Italia a rinunciare alla riforma. L’esecutivo punta a far arrivare il testo in aula alla fine di novembre, in modo da ottenere il semaforo verde dalla Camera prima di Natale. È convinto che non lo fermeranno i 262 emendamenti presentati, con le opposizioni che fanno muro.