Roma, 24 marzo 2023 - "L’Italia dovrebbe promuovere, insieme con la Francia, un’azione per dare un luogo di rappresentanza a un inizio di soggettività geopolitica del Mediterraneo allargato". Mentre a Bruxelles si discute di immigrazione e di gestione dei flussi, Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, oggi, nella sua seconda vita, guida autorevole della Fondazione Med-Or e ascoltato interlocutore di governi e think tank in giro per il mondo, guarda oltre il breve periodo e, soprattutto, pone le politiche migratorie dentro il caos e la ricerca di un nuovo ordine determinato dalla guerra in Ucraina.
Che cosa significa dare una soggettività geopolitica al Mediterraneo allargato?
"Vuol dire promuovere nel prossimo autunno una convenzione dei capi di Stato e di governo del Mediterraneo allargato, promossa dall’Italia con la Francia, anche attraverso il Trattato del Quirinale, coinvolgendo l’intera Europa, con l’obiettivo di trasmettere un messaggio preciso".
Quale?
"Il Sud del mondo non è nelle mani di nessuno e l’Italia e l’Europa diventino gli interlocutori principali del Sud del mondo per farlo essere protagonistadentro nuovo ordine mondiale. Il Mediterraneo allargato diventi un soggetto geo-politico".
Giorgia Meloni sembra voler andare in questa direzione quando parla di Piano Mattei?
"Sì. Ma come tutte le cose molte impegnative, c’è bisogno di un inizio".
Quale può essere questo inizio, oltre alla convenzione dell’autunno?
"La mobilitazione immediata dei tre miliardi per il Nordafrica da parte dell’Europa per evitare la definitiva destabilizzazione di quell’area".
È Putin il grande destabilizzatore?
"Putin, rispetto alla limitata operazione militare speciale di un anno fa, ha fatto oggi una scelta differente, apertamente dichiarata: quella di una guerra illimitata nel tempo. In questo quadro, la guerra lunga ha un fronte in cui si combatte militarmente e un altro in cui si combatte la cosiddetta guerra asimmetrica, che ha come orizzonte il mondo. Con l’Africa come potenziale secondo fronte della guerra. Tant’è che Putin si erge a paladino del Sud del mondo. E quando Xi si presenta a Mosca, dopo aver fatto fare l’accordo tra Iran e Arabia Saudita (uno spartiacque storico), si presenta come il più chiaro interprete di quella parte del pianeta che non si è schierata né con l’Ucraina né con la Russia: il fronte degli indifferenti, che, però, è maggioritario nel mondo come popolazione".
Perché Putin punta sull’Africa come secondo fronte?
"Perché se il nuovo paradigma è quello di contrastare la volontà egemonica dell’Occidente, tutto quello che destabilizza il mondo va bene alla Russia. E perché l’Africa è attraversata da una drammatica onda di destabilizzazione che deriva molto anche dalla guerra in Ucraina – se solo pensiamo alla dipendenza dal grano russo o ucraino – oltre che da una serie di fragilità strutturali di quel Continente. Oggi la Tunisia sta negoziando un accordo con il Fondo monetario internazionale per 1,9 miliardi di euro per tenere sotto controllo l’inflazione alimentare. L’Egitto ha negoziato a sua volta un accordo con il Fmi giunto a compimento anche grazie alle garanzie di liquidità fornite dai Paesi arabi sunniti, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti e Qatar. Il Libano vive sull’orlo di una gravissima crisi economica e sociale. La Libia è strutturalmente destrutturata".
In questo scenario, quali rischi corre l’Europa?
"L’Europa rischia di trovarsi stretta in una tenaglia migratoria e umanitaria, con i profughi che vengono dall’Ucraina, ai quali potrebbe aggiungersi una pressione migratoria di grandi dimensioni che viene dal Mediterraneo centrale e orientale".
Ma le leadership europee sono consapevoli dei rischi?
"La mia preoccupazione, di cui non vedo al momento una sufficiente consapevolezza internazionale, è che noi possiamo avere una situazione molto simile a quella del 2011, quella che portò alle primavere arabe, che si sono drammaticamente infrante sugli scogli della realtà, per usare un termine caro a Majakovskij. Con la differenza, non secondaria, rispetto ad allora, di non avere neanche il miraggio di un destino nuovo, ma di essere, invece, dentro una destabilizzazione più disperata".
E, invece, in che direzione occorre andare?
"Nella sfida della costruzione del nuovo ordine mondiale, invocato dalla Cina come elemento-chiave per risolvere anche la guerra in Ucraina, l’Europa deve giocare la propria partita nella capacità di conquistare il fronte degli indifferenti con una prospettiva di cooperazione non egemonica. Non possiamo consentire che il Sud del mondo sia rappresentato dalla Cina. E il Mediterraneo allargato e l’Africa sono lo scenario in cui ci si misura con il Sud del mondo".
È dentro questo rapporto di cooperazione non egemonica che si collocano le politiche migratorie?
"Certo. Anche in considerazione del fatto che la demografia nei prossimi venti anni conterà moltissimo nella forza dei singoli Paesi. E, dunque, la demografia africana, collocata dentro uno scenario di rapporto forte con l’Europa e dentro uno scenario di governo legale dei flussi migratori, rappresenta un’opportunità per l’Europa e rappresenta un’opportunità per i Paesi africani. Perché il governo legale dei flussi consente di affrontare il nodo della recessione demografica dell’Europa senza traumi dal punto di vista economico e contemporaneamente permette ai Paesi africani di poter contare su rimesse da miliardi di dollari".