La trattativa è una vera battaglia, e prosegue per tutto il giorno. Alla fine, nel consiglio Affari interni della Ue un accordo si trova, il patto su immigrazione e asilo passa a maggioranza qualificata: votano contro Polonia e Ungheria, quattro Paesi (Malta, Bulgaria, Slovacchia e Lituania) si astengono, tutti gli altri si schierano a favore. Anche l’Italia, dopo il ’no’ iniziale ci sta.
Sconfitta su tutta la linea sul fronte dei ricollocamenti obbligatori: chi non accoglie i migranti dovrà versare un contributo finanziario (20mila euro). Ma vince su un capitolo che il ministro Piantedosi considerava essenziale: i rimpatri nei Paesi di transito. Il braccio di ferro è stato soprattutto su questo punto perché tedeschi e francesi chiedevano maggiori garanzie sul rispetto dei diritti umani.
Passa invece la richiesta italiana: quando risulti chiaro che i migranti non hanno diritto all’asilo, possono essere rinviati non solo nei paesi d’origine, ma anche in quelli di transito, purché ci sia una connessione, ovvero un ’legame significativo’ (ad esempio: aver vissuto in un posto un anno) e sia un paese ’sicuro’, che rispetta cioè la dignità umana.
"L’Italia non sarà il centro di raccolta dell’Europa", esulta il titolare del Viminale. A questo punto, la partita si sposta nel Parlamento europeo che dovrà negoziare partendo da questi due regolamento. Ma la partita è quasi chiusa.
È questo il tassello più concreto se non più importante nel mosaico al quale sta lavorando senza posa da dieci giorni la premier: "È stata una giornata intensa e positiva. Mi pare che le cose procedano bene, ci sono importanti passi avanti con un protagonismo italiano che mi rende soddisfatta", dice all’ora di cena.
Con l’estate alle porte e un esodo biblico che si profila all’orizzonte, non c’è problema più urgente dell’immigrazione per lei. Mentre le Istituzioni europee si accapigliavano, la presidente del Consiglio con una raffica di incontri sta cercando di tessere una tela in grado di evitare una emergenza da tracollo nel giro di pochi mesi. Ieri è stata la volta del cancelliere tedesco Olaf Scholz.
L’elenco degli argomenti nel faccia a faccia a Palazzo Chigi sarebbe lungo come l’elenco telefonico. Al termine del confronto, ci sono le luci, in particolare i solidissimi rapporti commerciali: "L’interscambio tra Italia e Germania ha registrato un record assoluto nel 2022: oltre 168 miliardi di euro". Il corollario è l’adozione di un patto d’azione Italia-Germania che verrà siglato a Berlino alla fine dell’anno. Ma ci sono le ombre: la riforma del patto di stabilità, che continua a vedere i due Paesi schierati su posizioni se non opposte certo distanti anche se, diplomaticamente, gli spigoli vengono occultati. Qualche passo indietro rispetto alla linea rigorista sin qui tenuta il cancelliere lo avrebbe fatto sia con la premier che con il capo dello Stato. Bisognerà però vedere cosa ne pensa il ministro delle finanze Christian Lindner, il vero falco è lui e fargli cambiare idea è difficile.
Ma il punto centrale per Giorgia Meloni resta l’immigrazione; punti di contatto ce ne sono. Scholz conferma che il problema è europeo e non possono farsene carico i singoli Paesi, anche se non tralascia un messaggio preciso quando chiede di smettere di "puntare il dito contro gli altri. Non aiuta". La premier concorda: "Se l’Italia non regge i flussi il problema diventa di tutti". Neppure lei rinuncia a segnare un punto chiaro, non privo di verve polemica: "L’Italia corre abbastanza sola in Mediterraneo a salvare vite".
Pieno accordo sulla Tunisia. Per Berlino il problema è certamente meno impellente rispetto a Italia e Francia, ma una massa in arrivo non solo dalla Tunisia ma dall’intera Africa sarebbe un guaio anche per Scholz e il tentativo di trovare una mediazione tra le richieste del Fmi e la resistenza alle riforme del presidente Saied accomuna i principali paesi europei.
L’intesa dà forza alla missione la missione diplomatica in Tunisia in cui, con Giorgia Meloni, ci sarà la presidente della commissione Ursula von der Leyen e il premier olandese Rutte. Tutti concordano sul fatto che per frenare l’immigrazione l’Europa deve affrontare il problema alle radici, intervenire cioè in Africa. Quanto sia poi concreta l’intesa e come muoversi si vedrà solo nei prossimi mesi.