Roma, 28 giugno 2024 – La politica europea ha sue dinamiche che occorre conoscere e dentro le quali i leader politici nazionali devono sapersi muovere, per non correre il rischio di coltivare illusioni, di ottenere premi inutili o rimanere emarginati. Ma è anche un gioco a due livelli, che ciascun leader pratica tenendo occhi ben focalizzati sulla politica interna e sul proprio partito.
Sembrano dipendere proprio da questi fattori i risultati al di sotto delle attese, fino ad ora, tanto della presidente del Consiglio quanto della leader dell’opposizione. La prima ha sottovalutato le dinamiche consolidate che, come è poi accaduto, l’avrebbero tenuta fuori dalla stanza in cui si è trovato l’accordo sui top jobs. Naturalmente, la sua partita non finisce qui. Della seconda si dice che abbia perso l’occasione di portare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio al posto dell’ex premier portoghese Costa.
In realtà Elly Schlein non ha mai giocato questa partita. In primo luogo perché lo spagnolo Sanchez e il tedesco Scholz, i due socialisti più pesanti presenti nel Consiglio europeo, avevano da tempo fatto la loro scelta.
Il nome di Letta è stato messo in circolazione dai Popolari per scombinare carte che non si sono mai mosse. Anche volendo, Schlein non avrebbe avuto la forza per spingere in quella direzione. Del resto, nel Pse di fronte all’incertezza e a differenti punti di vista nazionali, è più facile che prevalga la continuità, come si è visto con la conferma dell’esclusione dello Smer, il partito del premier slovacco Fico, evocata e bloccata un attimo prima del pre-Consiglio.
Il vero obiettivo che Elly Schlein ha mancato è un altro. Avrebbe avuto diritto a esprimere il presidente del gruppo parlamentare dei Socialisti & Democratici, in base ad una regola ferrea secondo la quale quel posto spetta alla delegazione nazionale più numerosa. Si tratta peraltro di un ruolo davvero strategico perché è da quell’ufficio che si costruirà, d’ora in avanti, per tutta la legislatura, l’accordo tra S&D, popolari e liberali sull’agenda parlamentare. D’altro canto, un accordo solido tra i tre gruppi è l’unico modo per limitare l’influenza delle destre che la stessa Schlein considera con preoccupazione. Eppure la segretaria del Pd lo ha regalato in cambio di poco o niente agli spagnoli, i quali, nella difficoltà a trovare un diverso equilibrio al loro interno, hanno deciso di confermare l’uscente Iratxe Garcia.
Sarebbe stata senza dubbio la posizione di maggiore impatto sulla politica e sulle politiche pubbliche europee per un partito che, essendo all’opposizione, non ha rappresentanti nel Consiglio. Quindi perché Elly Schlein ha rinunciato? Si possono solo fare congetture. La più plausibile è che i suoi obiettivi siano altri: consolidare la sua leadership dentro il Pd preparandosi, dall’opposizione, a sfidare Giorgia Meloni alle prossime elezioni per la guida del governo in Italia. Quindi, non aveva nessuna voglia di gestire i conflitti tra dirigenti Pd potenzialmente titolati per l’incarico. Ma, soprattutto, un po’ come ha fatto Meloni prima di lei, non ha interesse a sporcarsi le mani con gli inevitabili compromessi necessari per avere un impatto reale sulle politiche europee. Preferisce tenersi le mani libere, per potere eventualmente prendere le distanze anche da posizioni prevalenti dentro S&D, come ha già fatto, ad esempio, per il Patto sui migranti.
Assistiamo così all’apparente paradosso di una leader (Meloni) in passato euroscettica che ora rivendica un ruolo nei vertici europei e un’altra (Schlein) da sempre super-europeista incline a rinunciare.