Sabato 28 Settembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Meloni-Orban, divorzio felice. Il premier ungherese a Roma: "In Europa andremo divisi". Ma sui temi il feeling è totale

Un’ ora e mezza di colloquio tra i due. Palazzo Chigi: approviamo i contenuti del semestre di Budapest. Tra questi le politiche sui migranti, la lotta alla denatalità e la riforma del sistema decisionale europeo.

Meloni-Orban, divorzio felice. Il premier ungherese a Roma: "In Europa andremo divisi". Ma sui temi il feeling è totale

Meloni-Orban, divorzio felice. Il premier ungherese a Roma: "In Europa andremo divisi". Ma sui temi il feeling è totale

Non si era mai visto un divorzio così felice. Con gli ex coniugi che filano d’amore e d’accordo come fidanzatini proprio mentre preparano le carte per separarsi. La bizzarra situazione è andata in scena ieri sera a Palazzo Chigi: ospite di Giorgia Meloni, l’uomo nero d’Europa per eccellenza, Viktor Orban, il premier ungherese che dal primo luglio assumerà il ruolo di presidente di turno della Ue. Non è il ’ battesimo’ romano per lui: la sua presenza alle feste di Atreju è stata fissa fino a poco tempo fa. Ci sono però due differenze significative. Per la prima volta Orban è in visita ufficiale, in vista del nuovo impegno, non alla leader di partito ma alla presidente del Consiglio. E per la prima volta i due sembrano attestati su posizioni opposte in punti centrali dell’agenda internazionale: guerra in Ucraina e nuovi vertici Ue.

Al termine del colloquio durato un’ora e mezza, Orban ci tiene a sottolineare che tra gli argomenti affrontati non ci sono le questioni di partito. "Abbiamo già chiuso lunedì a Bruxelles, dove abbiamo chiarito che noi seguiamo la politica nazionale e non possiamo fare parte di una famiglia politica dove c’è un partito rumeno che è anti-ungherese, Aur". Conferma che l’ingresso nel gruppo Ecr di cui FdI fa parte è definitivamente sfumato, ma assicura: "Ci impegniamo a rafforzare i partiti di destra europei, anche se non siamo nello stesso gruppo". E prende le distanze da qualsiasi possibilità di appoggio a Ursula von der Leyen come presidente della Commissione. "Non possiamo accettare che in Europa tre partiti formino una maggioranza che si divide i top job e si comportano come un governo, e poi c’è un’opposizione. In origine, l’Europa non era così. Si basava sul coinvolgimento di tutti, non sulle esclusioni". Parole nette, alla vigilia del Consiglio dei capi di Stato e di Governo che potrebbe decidere i nuovi vertici Ue. Diversa la strategia della premier italiana: dialogante con il Ppe, e al lavoro per un posto di rilievo per l’Italia nella Commissione. Subito dopo, però, Orban si lancia in una girandola di complimenti: "L’Italia è uno dei nostri alleati più importanti, i rapporti economici tra i due paesi sono quadruplicati, appoggiamo il piano Mattei per l’Africa".

Cinguetta anche Giorgia Meloni: prima un omaggio alla campagna del resto pienamente condivisa sulla denatalità. "L’Italia sostiene pienamente l’Ungheria per le sue priorità nel suo semestre di presidenza Ue a partire dalla sfida demografica. È una delle precondizioni per costruire una Europa forte e protagonista nel mondo". Soprattutto sull’immigrazione il feeling è totale. "Siamo d’accordo sul fatto che va consolidato il nuovo approccio europeo che si è sviluppato in questi mesi, anche su impulso dell’Italia, che si basa sulla difesa dei confini esterni, la lotta ai trafficanti, l’impegno a costruire un nuovo modello di cooperazione con i paesi di origine". Poi, affronta il principale ostacolo, per i conservatori, all’ ingresso di Orban nel gruppo: il conflitto ucraino. "Le nostre posizioni non sono sempre coincidenti ma apprezzo la posizione ungherese in Ue e in Nato che consente gli alleati di assumere decisioni importanti, anche quando non è d’accordo".

Bocche cucite su cosa farà nel Parlamento europeo Fidesz, il partito d’Orban: sfumata l’unificazione con Ecr resta aperta la possibilità di un ingresso in Identità e democrazia, ma anche quella di dar vita a un nuovo gruppo sovranista. Sono opzioni diverse e che avrebbero diverse ricadute sugli equilibri di Strasburgo. Ma probabilmente meno dirompente di quanto non possa sembrare.

Perché sempre più chiaramente la destra europea – cui non dispiacerebbe affatto far slittare le nomine Ue dopo le elezioni francesi – non intende farsi lacerare più di tanto dalle divisioni anche profonde sulla guerra in Ucraina. Sul resto e, in particolare sull’immigrazione, i vari leader hanno tutte le intenzioni di marciare divisi per colpire uniti. Il divorzio più innamorato del mondo si spiega proprio così.