Il governo smorza gli allarmi sullo stato di salute dell’accordo tra Italia e Tunisia. "È una bufala!", tuona il ministro Tajani, mentre proprio stasera Giorgia Meloni, nel suo primo intervento all’assemblea generale dell’Onu, batterà parecchio sull’emergenza migranti, perché l’Italia non può essere lasciata sola, l’aiuto dell’Europa non basta, e comunque sia, avverte, gli accordi con i Paesi africani e con Tunisi andranno avanti. Già prima del discorso ufficiale a New York, la leader di FdI ai giornalisti aveva fatto capire quale sarebbe stata la linea del governo: "L’impatto del conflitto in Africa che si somma ad altri problemi già strutturali rischia di muovere milioni di persone e io - ha chiarito Meloni – non voglio che l’Italia diventi il campo profughi d’Europa".
Il problema però è anche che la tela degli accordi costruita fino a questo momento da Roma e dalla Commissione Europea mostra le prime fragilità. A partire dalla Tunisia, Paese al centro dell’ormai famoso ’piano Mattei’, che punta allo sviluppo dei Paesi nordafricani per eliminare alla radice il fenomeno dell’immigrazione dilagante.
L’accordo con la Tunisia doveva essere la prima pietra del progetto, ma proprio nel momento di massimo afflusso di migranti verso l’Europa ecco che l’accordo pare già a rischio naufragio. Per una questione di soldi. Il memorandum che avrebbe dovuto bloccare le partenze dalla costa firmato solo a luglio scorso dalla presidente della Commissione Europea, von der Leyen, dalla premier Giorgia Meloni e dall’omologo olandese Mark Rutte sarebbe stato congelato dalla Tunisia. Che ha cambiato le carte in tavola dopo che l’erogazione "senza condizioni" di 150 milioni di euro non è ancora stata effettuata. E perché la seconda tranche da 200 milioni è condizionata alla realizzazione di progetti. Tunisi vuole tutto "senza condizionalità", per farlo entrare nel bilancio nazionale e dare così ossigeno alle casse pubbliche. Senza spendere quei soldi per rafforzare la flotta navale. O per formare la Guardia Costiera, come previsto dall’accordo.
La Francia, intanto, sta mettendo in atto in modo più energico del solito il controllo alle frontiere tra Ventimiglia e Mentone. Parigi - che non può sospendere il trattato di Schengen - ha deciso di inviare più militari al confine, considerando che la pressione migratoria che si sta verificando in Italia possa diventare una ‘minaccia.
E nonostante Berlino riconosca un dovere "umanitario", il governo tedesco ha deciso di sospendere i colloqui con i rifugiati e prendere in consegna dall’Italia solo quelli già autorizzati nel quadro del "meccanismo di solidarietà", finché Roma non rispetterà gli obblighi di Dublino.
Anche Varsavia mette un veto alla redistribuzione prevista dal Patto Ue e, in vista delle elezioni del 15 ottobre, il partito al governo Pis (Diritto e Giustizia) ha annunciato un referendum contro l’immigrazione illegale. Insomma, un quadro complesso, ma che vede l’attenzione dell’Italia puntata verso Tunisi, con il ministro Tajani, che ieri ha smentito l’allarme parlando di "notizia destituita da ogni fondamento; dobbiamo stabilizzare la situazione in Tunisia e fermare i flussi e il memorandum va in questa direzione", ma la tensione con il governo di Saied resta alta.
L’accordo – al momento in cui è stato firmato – prevedeva un’intesa su 5 pilastri: assistenza macro finanziaria, relazioni economiche, partnership sull’energia sostenibile, migrazione, promozione degli scambi. E quindi soldi. Nel frattempo, la pressione migratoria dalla Tunisia ha registrato un’escalation. Nei due mesi successivi alla firma del patto di Tunisi sono stati registrati 31 mila arrivi dalle coste del Paese nordafricano. Lunedì prossimo nuova riunione a Bruxelles sul memorandum per cercare di trovare una soluzione.