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La premier Giorgia Meloni, 48 anni, con Emmanuel Macron, 47 anni
Arriva per ultima, e arriva all’Eliseo poco convinta. A Giorgia Meloni il modello di vertice informale convocato da Macron a Parigi piace poco. Ma la distanza principale è di sostanza: per la premier italiana l’idea di un "formato anti-Trump" è fuori discussione. Al contrario, avverte i leader seduti al suo fianco, l’Europa deve dialogare con gli Usa "perché è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana". Ma va anche oltre: gli americani lavorano "per giungere alla pace e anche noi dobbiamo fare la nostra parte". Insomma, una posizione diametralmente opposta a quella muscolare che alcuni, fra cui forse anche Macron, avrebbero in mente. Sia ben chiaro: a Palazzo Chigi nessuno mette in discussione la necessità di vedersi in fretta, vista l’accelerazione impressa da Trump, con l’incontro organizzato a Riad.
Però la premier avrebbe preferito ben altro format: un consiglio straordinario a Bruxelles, alla presenza dunque di tutti e 27 i paesi dell’Unione. In subordine, dati i tempi stretti, andavano per lei sentiti quantomeno quei Paesi che confinano con la Russia e sono più esposti al rischio di estensione del conflitto. Tant’è, sul tavolo parigino per il momento c’è poco di concreto: sarebbe impossibile giungere a qualsiasi conclusione prima delle elezioni tedesche. Ma anche in questo primo scambio di vedute della "riunione interlocutoria" sul tema principale, l’eventuale invio di soldati, la sua posizione è drastica. "L’ipotesi di un dispiegamento di soldati europei in Ucraina mi sembra la cosa più complessa e forse la meno efficace". L’Italia, insomma, accetterebbe di inviare un contingente solo nel quadro di una missione Onu.
I rapporti tra America e Ue non sono solo Ucraina. Sulla difesa ("le spese vanno scorporate dal patto di stabilità") Meloni fa quasi proprie le posizioni di Trump ma in nome dell’interesse europeo: "ha lanciato una sferzata" ma "analoghe considerazioni erano già state fatte da importanti personalità europee". Persino sulle dichiarazioni del vicepresidente Usa Vance, quelle che hanno scandalizzato e irritato Bruxelles e le principali capitali europee, scarta: "Condivido le sue parole. Ancora prima di garantire la sicurezza in Europa, è necessario sapere cosa stiamo difendendo". Ragionamenti condivisi domenica con Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader del partito più vicino all’establishment europeo del centrodestra. Formula secca: a fianco dell’Europa, ma senza rompere con Trump. La premier l’ha fatta propria, ma sbilanciandola a favore di Washington. Nella riunione Meloni chiede certo "garanzie di sicurezza per l’Ucraina", ma all’uscita non si lascia scappare una sola parola. Ed è un silenzio che suona eloquente.
La crisi internazionale non spinge Giorgia a dimenticare l’enorme problema rappresentato dal protocollo con l’Albania. In ballo c’è ancora il decreto che dovrebbe cambiare la destinazione d’uso dei centri: prima di volare a Parigi Meloni, assieme al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, incontra i prefetti e i questori alla conferenza sulle linee d’indirizzo per le politiche di contrasto all’immigrazione. Almeno da questo punto di vista, la giornata per lei registra un risultato positivo: il commissario Ue per agli affari Interni e l’immigrazione Magnus Brunner (oggi l’incontro a Chigi) afferma apertamente di sostenere l’Italia sull’accordo con Tirana, conferma l’urgenza di una nuova normativa senza però specificarne i tempi e conferma che il tema sarà toccato anche nella direttiva rimpatri che sta preparando la Commissione. Non è la sentenza della Corte europea di giustizia alla quale è appeso il protocollo, ma il segnale è certamente molto positivo. Altrettanto importante sarebbe l’anticipo dell’entrata in vigore del nuovo patto di migrazione e asilo. I numeri dei rimpatri crescono, scandisce la premier. E chiede a prefetti e questori sforzi aggiuntivi: "Aumentiamoli ancora".