
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al suo arrivo al Consiglio Europeo
Roma, 7 marzo 2025 – Piano di difesa approvato in linea di principio, anche se "le decisioni sull’articolato – spiega la premier all’ora di cena – arriveranno solo al prossimo consiglio del 20 e 21 marzo". Semaforo verde pure per le conclusioni sulla pace in Ucraina. Ma il governo resta diviso. C’è un vicepremier, Matteo Salvini, che non manca di rilanciare il siluro quotidiano: "Piano sbagliato". Ce n’è un altro, Antonio Tajani, che pensa il contrario: "Buon punto di partenza". Solo sul nome, i tre leader di maggioranza sono uniti: "La parola ’riarmo’ non è adatta – riassume Giorgia Meloni – . Mi sono permessa di segnalare che il concetto di difesa in Europa è un concetto un tantino più ampio". Obiezione accolta. Ignora il dissenso dell’alleato leghista, e non prende in considerazione l’ipotesi di negare la firma italiana. Il no resta fermo su un altro capitolo, ufficialmente non era all’ordine del giorno, ma che aleggia lo stesso sul vertice: la missione europea di peacekeeping in Ucraina. Appuntamento per l’11 marzo a Parigi: ci saranno i capi di stato maggiore di tutti "i volenterosi" decisi a partecipare. Presenti anche gli italiani, ma solo come osservatori. Sembra un primo passo verso l’adesione: pare che qualche "alta pressione" in questo senso ci sia. La premier assicura però che non sarà così e conferma il suo no: "È una soluzione inefficace".
Una novità imprevista. Un gesto di appeasement che non implica però l’invio di truppe italiane. "Non manderemo i nostri soldati", ripete Meloni. Per Salvini sarebbe troppo. Già che c’è lei rilancia la sua soluzione alternativa: garanzia di pace "è l’estensione dell’articolo 5 del trattato Nato all’Ucraina, senza l’ingresso di Kiev nell’alleanza". Da discutere in quel vertice Ue-Usa "a cui l’Italia lavora". Essenzialmente nel corso della lunga seduta del consiglio straordinario, l’Italia parla di quattrini e lo fa da vari punti di vista. Esprime soddisfazione per lo scorporo delle spese sulla difesa dal Patto di stabilità, ma insiste perché sia chiaro che nel pacchetto rientra quel 2% del Pil da destinare in armi secondo gli accordi presi con la Nato. Lo scorporo, argomenta la premier, mette tutti al riparo dal rischio di procedura d’infrazione, ma le spese militari si trascinano dietro l’aumento dei debiti nazionali, rendendoli meno sostenibili. Insiste su una garanzia Ue sugli investimenti: il ministro Giorgetti presenterà in tal senso una proposta all’Ecofin. Spiega Meloni: "È fondamentale per attrarre investimenti privati". Solo pochi mesi fa le richieste dell’Italia sarebbero state considerate incivili, la svolta della Germania cambia tutto. Olaf Scholz resta contrario agli eurobond, ma la porta verso l’uso di "altri strumenti", in concreto, debito comune, resta aperta e sarà sul tavolo del prossimo consiglio.
Il ripensamento tedesco dà la possibilità a Meloni di mettere in campo la possibilità di allentare le maglie del Patto di stabilità non solo sulla difesa, ma anche su altri "capitoli essenziali" a partire da quello su cui martella da mesi Draghi: la competitività. Sul nodo dei fondi coesione, uno dei cavalli di battaglia di Elly Schlein nella riunione dell’eurogruppo S&D per difendere la posizione della delegazione del Pd che boccia il piano di Ursula, la premier taglia corto: "Siamo contrari, non li useremo per le armi. È la proposta che porterò in Parlamento". Il primo tempo della partita riarmo si chiude così. Ma per capire cosa sarà l’Europa di domani bisognerà aspettare il secondo tempo.