Il Superbonus fa aumentare il debito pubblico, ma il governo punta a scaricare una parte consistente del peso del super-incentivo sui conti del 2023, portando il deficit al 5,3 per cento del Pil. Una scelta cruciale per liberare risorse per il 2024, un anno che vedrà sì un rallentamento della crescita con un Pil all’1,2 per cento (0,8 per quest’anno), ma anche un indebitamento che arriverà al 4,3 per cento per avere a disposizione una dote di circa 14 miliardi di euro da destinare interamente al taglio del cuneo, alla prima tappa della riduzione dell’Irpef e agli aiuti alle famiglie a reddito medio-basso. Oltre che al rinnovo dei contratti pubblici, a cominciare da quello della sanità.
È questa l’impostazione che sta alla base delle cifre indicate nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, approvata ieri sera e che sarà a fondamento della manovra in programma per metà mese. Un’impostazione del bilancio pubblico che la premier Giorgia Meloni, secondo quanto si apprende, ha spiegato durante il Consiglio dei ministri: "Il quadro è difficile, non solo per la complessa congiuntura economica che stiamo vivendo ma anche perché dobbiamo fare i conti con la gestione allegra delle risorse pubbliche che abbiamo ereditato, in particolare, dall’ultimo governo Conte. I nostri margini sono ristretti ma dobbiamo saper dimostrare di essere, ancora una volta, una Nazione credibile e solida, facendo scelte serie e di buon senso. Scelte diverse da quelle che abbiamo visto in passato: basta sprechi".
E dunque: "Dobbiamo concentrare le risorse sulle misure che garantiscono un moltiplicatore maggiore di crescita e che incarnano di più la nostra visione del mondo: investimenti e infrastrutture, anche attraverso la leva del Pnrr, aumento dei redditi e delle pensioni più basse, sostegno alla natalità e alla famiglia, rafforzamento della sanità e rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Scrivere una manovra di bilancio credibile, anche agli occhi degli investitori, è tra le cose più preziose che possiamo fare".
Fino a concludere: "Il nostro scopo non deve essere quello di inseguire il consenso, ma raggiungere risultati concreti, facendo ciò che è utile e giusto e cadenzando i provvedimenti nell’arco della legislatura. Hanno provato a raccontare che faremo una legge di bilancio lacrime e sangue. Riusciremo, ancora una volta, a smentire i pronostici". E, a conferma, dell’asse tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre il Ministro Giancarlo Giorgetti insiste: "No a politiche recessive, è ragionevolezza sforare il 3 per cento. Il deficit al 4,3% dovrebbe permetterci di confermare interventi indispensabili a beneficio dei redditi medio bassi".
Anche se non è facile fare i conti con l’impatto cruciale del Superbonus: oltre che sul deficit del 2023, peserà sul debito per anni. "Il motivo per cui il debito non diminuisce come auspicato – spiega Giorgetti –, è perché il conto da pagare dei bonus edilizi, ed in particolare del superbonus, sarà di 80 miliardi, ahimè in aumento, da pagare in quattro comode rate ogni anno. In assenza di questo effetto il debito sarebbe calato di un punto ogni anno".
Ma se queste sono le intenzioni, la premier dovrà fare i conti, da un lato, con Bruxelles e, dall’altro, con la sua stessa maggioranza. Sul primo versante l’operazione messa in campo tende a caricare il 2023, che è un anno fuori dalle regole del Patto di Stabilità, degli oneri del Superbonus, con l’obiettivo di negoziare con Bruxelles lo sforamento del deficit nell’anno successivo, magari con uno scambio politico con il via libera al Mes.
Sull’altro fronte, quello interno, la Meloni dovrà fare i conti con i bracci di ferro tra i ministri e le forze politiche. Sono di ieri quelli tra Matteo Salvini e big di Fratelli d’Italia sia sul Ponte sullo Stretto (con Tommaso Foti che osserva: "Dubito che saranno aperti i cantieri l’estate prossima") sia sui nuovi condoni. Tanto che, almeno sulle sanatorie, è sceso in campo anche il Ministro Giancarlo Giorgetti per dire no, almeno per il momento, a nuove tregue fiscali.