Ultimo a punzecchiare, il sindaco di Milano Beppe Sala sul Corriere: Renzi? «È un po’ indisponente. Lo sa anche lui. Resta da capire se questo suo modo d’essere fa arrabbiare solo i compagni di viaggio della politica o anche gli elettori». Il filone degli amici critici era stato inaugurato alla Leopolda 2016 da Oscar Farinetti, il patron di Eataly, che dal palco aveva arringato il circo renziano: «Dobbiamo tornare a essere simpatici». Con tanto di invito al premier ad attenuare il suo profilo arrembante: «È un ragazzo pieno di dubbi: secondo me, se apparisse per come è, sarebbe tutto più facile», aveva detto l’uomo delle prelibatezze enogastronomiche poche ore prima che lo stesso Renzi, ospite di Giovanni Minoli, agevolasse il compito dei suoi nemici: «Talvolta sono cattivo, arrogante e impulsivo». Di sicuro poco machiavellico.
Così, perso il referendum a dispetto di una chiara sovraesposizione, Renzi è salito di un gradino nell’affetto degli avversari diventando «l’antipatico» della politica italiana. Non più «lo sbruffone» né «l’arrogante», che oggi sarebbero quasi complimenti, ma «l’antipatico»: appellativo dalla forte carica strumentale che tuttavia potrebbe zavorrare i progetti di riscossa se diventasse vox populi, tag internettiana o etichetta social irremovibile. Siamo vicini al punto di non ritorno?
Pier Luigi Bersani & Co. sono i più attivi nella demolizione. «Ancora oggi non ho capito le vere ragioni della scissione, se non quella dell’antipatia nei confronti di Renzi», critica (focalizzando il tema) il presidente dem Matteo Orfini. Poi ci sono gli avversari. Durissimo il pentastellato Alessandro Di Battista: «Renzi non si è reso conto di aver preso una grande batosta, di stare antipatico agli italiani. Ormai sono convinto che stia antipatico anche a se stesso».
Di sicuro Renzi sembra aver smarrito il tocco. E in un Paese che odia per consolidata inclinazione, ha paradossalmente sostituito Silvio Berlusconi nel ruolo di bersaglio. «Con una differenza – sottolinea Giovanna Cosenza, semiologa all’Università di Bologna –. Berlusconi era detestato dagli avversari e amato dal suo popolo. Renzi ha diviso la sua gente».
La nemesi dell’ex rottamatore, ora prigioniero di un vicolo comunicativo. «Dopo il referendum – prosegue Cosenza – Renzi doveva indossare il saio dell’umiltà, ammettere i suoi errori, stare il più possibile zitto. Se mai ci ha provato, non è risultato credibile. Ora è in sella al Pd in una cornice più fragile». Forse già compromessa. A meno che? «Non sfrutti i molti mesi da qui alle elezioni per una sterzata vigorosa. Di silenziosa sostanza e calibrata presenza. Un’autocritica vera. Il leader che riconosce i suoi errori può spazzare via le negatività. Altrimenti qualcun altro spariglierà le carte al posto suo».