Martedì 5 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

Mattarella e il rebus Renzi. La tentazione del premier: restare fino a febbraio

Quirinale, rimane aperta anche l'ipotesi di un governo istituzionale Renzi vuole restare leader del Pd - di E. M. COLOMBO

Sergio Mattarella e Matteo Renzi (ImagoE)

Sergio Mattarella e Matteo Renzi (ImagoE)

Roma, 6 dicembre 2016 - Non bisogna farsi ingannare dal congelamento delle dimissioni. L’unica cosa veramente certa è che Renzi se ne andrà da Palazzo Chigi. Il dubbio semmai riguarda fino a che punto si distaccherà dal partito: addirittura nel lungo colloquio a metà mattinata con Mattarella ha ventilato l’ipotesi di un anno sabbatico negli Stati Uniti o almeno di una lunga vacanza con la moglie. E siccome tutto è collegato, è chiaro che la scelta che farà domani rispetto al Pd non potrà non ripercuotersi sugli scenari governativi futuri: ragion per cui, il capo dello Stato aspetta che il premier si chiarisca le idee e nel suo partito si ufficializzi chi comanda. Intanto, ha rinviato l’apertura della crisi fino all’approvazione della legge di stabilità e del decreto sul terremoto che – negli auspici del premier «congelato» - dovrebbe avvenire entro venerdì. Sempre che tutto al Senato fili per il verso giusto.

Referendum, risultati definitivi col voto estero

Il Presidente della Repubblica ci ha messo un pochino a convincere Matteo, salito al Colle dopo la nottata tempestosa con l’intenzione di rassegnare subito le dimissioni. Al netto di ricostruzioni fantasiose di un colloquio riservato, il tono dell’appello è perentorio: «Dopo il voto bisogna garantire gli impegni che abbiamo di fronte. Servono risposte all’altezza del momento». Di qui, la scelta obbligata di mollare gli ormeggi dopo l’approvazione della manovra, scongiurando l’esercizio provvisorio. Ovvero il rischio di chiamarsi addosso la speculazione in una situazione di fibrillazione dei mercati.

ALFANO: "VOTO A FEBBRAIO 2017"

Rassicurare o drammatizzare? Dal dilemma renziano nascono gli scenari possibili per il dopo-crisi. Con Alfano che – subito dopo aver parlato con lui – la mette giù così: «Se dovessi puntare un euro direi che si va a votare a febbraio, con l’Italicum per la Camera e il consultellum al Senato». In questo caso, però, Renzi che è dimissionario, per guidare l’esecutivo elettorale dovrebbe ricevere un nuovo voto di fiducia dalle Camere, dicono nel Pd. Resta comunque l’incognita della Corte costituzionale che deve esprimersi sulla legge elettorale della Camera. E dunque si passa al secondo schema, quello più realistico: prevede comunque un governo costruito in fretta, che taglia la riforma elettorale sulla sentenza della Consulta. Presidente di un esecutivo di questo tipo dovrebbe essere un profilo amico come quello di Gentiloni o di Delrio. Non è escluso nemmeno l’identikit di Franceschini che – in queste ore – ha fatto arrivare messaggi rassicuranti di amicizia al premier: sullo sfondo resta Padoan (per garantire l’Europa potrebbe restare all’Economia).

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Invece: casomai Matteo indossasse i panni del leader di un «Paese normale» per dirla con D’Alema – resterebbe in sella al partito senza dare le dimissioni dalla segreteria, dando il disco verde a un governo che faccia una legge elettorale nei tempi necessari a trovare una soluzione che soddisfi il massimo numero di partiti, per poi andare a votare se c’è tempo nel 2017, altrimenti l’anno successivo. In questo caso il presidente del Consiglio più adatto sarebbe il presidente del Senato Pietro Grasso verosimilmente a capo di un governo «neutro», che non preveda cioè la partecipazione diretta di ministri Pd. Insomma: un governo che gli permetterebbe di giocare a tutto campo, preparando così la sua vittoria nel congresso del Pd e poi la sfida alle prossime politiche. L’altro schema, quello che piace ai renziani prevede invece la drammatizzazione, ovvero che si dimetta da segretario: un modo esplicito per dire che non accetta mediazioni con gli avversari ma vuole i pieni poteri nel partito.

 

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