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Marina Berlusconi, presidente di Fininvest e del gruppo Mondadori è nata a Milano 58 anni fa
Non scende in campo, ma prende posto in panchina Marina Berlusconi. Con l’intervista "manifesto" a tutto tondo sulle colonne del Foglio la primogenita del Cavaliere schiera il modulo e descrive gli schemi in maglia liberale attraverso cui la famiglia di Fininvest-Forza Italia ha in animo di riportare il partito azzurro al centro della scena. Sfida nient’affatto esente da controversie, come dimostrano le reazioni di apprezzamento e critiche sia interne che esterne a FI. Ma ancor più i silenzi.
"Sveglia" all’europeismo; attestazione di antifascismo (ovvero di anticomunismo); critica al "bullismo" di Donald Trump, che minaccia di "rottamare" il vecchio continente; sostegno alle unioni gay – che si arresta sulla soglia della maternità surrogata – e all’allargamento della cittadinanza per gli stranieri; allarme per lo strapotere delle multinazionali big tech; supporto nei confronti di una legislazione sul fine vita: sono questi gli elementi di definizione dell’identità liberale forzista illustrati dalla presidente di Fininvest e del gruppo Mondadori. Con, in più, un sorprendente e significativo silenzio in tema di giustizia.
"La declinazione di un manifesto liberale concreto e di grandissimo respiro", come lo riconosce l’occhio giornalistico del vicepresidente forzista della Camera Giorgio Mulè. Individuandovi "l’eredità attualizzata di un pensiero libero", che discende direttamente dalla vita e l’opera di Silvio Berlusconi, del cui pensiero Marina si prospetta "naturale continuatrice". Parole non solo di circostanza. In quanto gli eredi del Cavaliere incalzano non da ieri Forza Italia alla riconquista dell’elettorato moderato e insieme dell’egemonia sul centro della scena politica. Non a caso qualche mese fa, per la presentazione dei palinsesti Mediaset, anche Piersilvio aveva sostenuto la necessità di rilancio del partito all’insegna della distinzione tra Forza Italia "di resistenza" e "di sfida".
E Marina accetta e rilancia la sfida. Al partito stesso, prima ancora che agli alleati di centrodestra, che nella persona del segretario e ministro degli Esteri Antonio Tajani si trova un po’ chiuso e silenziato dal tentativo della premier Meloni di assumere un difficilissimo ruolo di mediazione tra l’intransigente isolazionismo concorrenziale di Trump e l’europeismo stanco di Ursula von der Leyen.
Marina dice chiaro forse quel che Tajani in questo momento non può esternare nel suo ruolo di vicepremier. Il che smentirebbe le voci di contrasti tra Marina e il leader azzurro. Tanto è vero che Raffaele Nevi, portavoce di FI, definisce quella della presidente di Fininvest "una riflessione di altissimo profilo", condivisa dal segretario, all’insegna della necessità che "l’Unione definisca una linea chiara su tutte le questioni: dalla politica economica alle banche, dal ruolo delle big tech alle spese militari".
Ma la sfida di Marina è in primo luogo interna: a FI e alla politica. Una sfida che guarda a erodere il consenso al centrosinistra in tema di libertà e diritti civili per bilanciare le propensioni più nazional-sovraniste. "Un importante stimolo da raccogliere, per dare risposte alla società plurale", dice la responsabile esteri Deborah Bergamini fautrice della necessità di "allargare il campo del confronto alle nuove generazioni del mondo produttivo e sociale, dall’imprenditoria al terzo settore".
Frattanto è ripartito il dibattito sul fine vita. L’assist di Marina è subito colto dal presidente del Veneto, Luca Zaia: "Non bisogna essere ipocriti in questo Paese, il fine vita esiste, c’è pure una sentenza della Corte costituzionale, è una cosa seria". Ma la questione lacera il centrodestra. Il presidente dei deputati di FI alla Camera Paolo Barelli ribadisce "libertà di coscienza" degli azzurri.