Roma, 22 novembre 2018 - Per ora siamo al muro contro muro. Da una parte Bruxelles che non fa sconti all’Italia e anzi, se possibile, rincara la dose, avviando per la prima volta una procedura «per deficit eccessivo motivata dalla violazione della regola sul debito». Dall’altra il governo che respinge al mittente le critiche e non rinuncia, neanche alle battute la vetriolo. La «grave violazione» registrata ieri nei documenti con in quali la Commissione ha formalmente avviato la procedura di infrazione per disavanzo eccessivo motivata dalla violazione della regola del debito, non lascerebbe alcun margine di trattativa. Almeno sulla carta.
Se non altro perché, spiegano a Bruxelles, il giudizio sarebbe ulteriormente legittimato dal mancato rispetto della raccomandazione inviata a Roma lo scorso 13 luglio in cui si invitava a ridurre il deficit strutturale dello 0,6%. La manovra gialloverde, vista dalla Commissione, non solo non taglia di un decimale ma addirittura lo fa aumentare dello 0,9%. Detto questo, Bruxelles ha però poca voglia di usare il pugno duro. Soprattutto a ridosso delle elezioni europee e con i partiti sovranisti pronti a strumentalizzare qualsiasi mossa dell’esecutivo comunitario. Mentre, dall’altra parte, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, non ha intenzione di tirare la corda più di tanto. L’attenzione, ovviamente, è tutta rivolta allo spread. A quota 340 creerebbe problemi alle banche. Cento punti più su, metterebbe a rischio la tenuta dei nostri conti pubblici. Di qui, l’invito fatto trapelare ieri, dal Quirinale, per riprendere il filo del dialogo. Nessuna presa di posizione ufficiale. In questo momento il Capo dello Stato vuole tenersi al di sopra dello scontro politico. Ma già in passato ha fatto capire che occorre compiere ogni sforzo per garantire l’equilibrio dei conti pubblici tenendo presente che non si può rimanere prigionieri di un orizzonte interno in un mondo «in cui si moltiplicano le interdipendenze». Ma c'è di più. L’impennata dello spread rischia di costare caro soprattutto alle piccole e medie imprese del Nord, il cuore dell’elettorato leghista, che non esiterebbe un attimo a rinunciare a una parte della manovra pur di evitare il crack. A cominciare, ovviamente, dal reddito di cittadinanza. E allora? Per ora la strategia dell’esecutivo è di procedere passo per passo, rispondendo a tutte le richieste che arriveranno da Bruxelles. La strada della procedura di infrazione, del resto, è molto lunga. Partirà a dicembre, come ha detto Dombrovskis, o al massimo il 22 gennaio, con il placet di tutti i Paesi europei.
Poi, a questo punto, scatterebbe il periodo concesso all’Italia per correggere i conti e rimettersi in regola. Tre mesi nell’ipotesi più dura, sei in quella più morbida. Insomma, la procedura potrebbe concludersi anche a luglio. Ma il problema, più che le eventuali sanzioni (che potrebbero arrivare anche fra due anni) è lo spread. Così, nel governo, potrebbe prevalere anche un piano B, con la presentazione in primavera di una manovra ‘light’, alleggerita dai capitoli più costosi. Un modo per venire incontro alle richieste europee, riaprire il dialogo e, soprattutto, per recuperare credibilità sui mercati. Uno scenario che però aprirebbe l’ennesimo scontro fra i due partiti della maggioranza.