Roma, 28 ottobre 2023 – Il buongiorno si vede dal mattino. "Stanotte ho dormito pochino: abbiamo definito la legge di bilancio", annuncia Matteo Salvini. "La manovra non è ancora chiusa", smentisce Antonio Tajani. Da Bruxelles la premier chiude la questione: "Il testo c’è, è già stato inviato dal Mef a Palazzo Chigi". In effetti, il testo è stato spedito dal ministro Giancarlo Giorgetti, ma non è detto che sia definitivo.
Al termine di un’ordinaria giornata di caos, si fa strada l’idea che servirà il vertice di lunedì – convocato in realtà sulle riforme istituzionali – per mettere la parola fine alle tensioni tra alleati. Nel caos, è impossibile tirare bilanci conclusivi. A bocce in movimento, il leader della Lega ha segnato un punto, anche se più di facciata che di sostanza. Ma nella situazione data, con i pochi soldi a disposizione ipotecati dal taglio del cuneo e dal contratto della Pa, per tutti è questione di apparenza.
E questa è garantita dal ritorno a quota 103, confermata per tutto l’anno prossimo. Certo, ci sono tali e tanti paletti e restrizioni che quella quota è più formale che reale. Il governo conferma l’intenzione di rendere l’uscita anticipata dal lavoro difficile e disincentivata da una raffica di penalizzazioni. Poco importa per Salvini: il gol l’ha realizzato dopo l’ennesima telefonata con Giorgia.
Del resto, c’è pure la retromarcia sul prelievo dei conti bancari in caso di pignoramento. "Quella norma – ripete la premier – nella legge di bilancio non c’è mai stata". Eppure, i leader della Lega e di Forza Italia che si erano scagliati contro l’irruzione nei conti correnti di mestiere fanno i vicepremier: immaginare che abbiano preso di mira una misura inesistente è un po’ difficile. La norma in realtà era prevista in linea generale dalla delega fiscale (discussa con tutti, puntualizzano al Mef) ma viene rinviata a un provvedimento successivo "sentito il Garante per la privacy".
Se Salvini ride a metà, a Tajani non resta che piangere. Nella legge di bilancio le sue richieste sono state ignorate. Le pensioni minime non aumentano: restano a seicento euro. La tassa sugli affitti brevi passa dal 21 al 26 per cento. "Applicare la stessa cedolare del 21% a chi affitta a famiglie o studenti e a chi, invece, affitta legittimamente il proprio immobile in ambito turistico non ha molto senso e ha contribuito a creare, soprattutto nelle grandi città, l’enorme carenza di case a disposizione di fuori sede e famiglie", spiega il sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari. Ma nel partito azzurro prende corpo la scelta di non rispettare l’impegno chiesto da Giorgetti, e ribadito da Giorgia Meloni, di non presentare emendamenti di maggioranza. "Se la manovra è da correggere perché ci sono storture, ci saranno emendamenti", assicura il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè.
E del resto, in via informale,su questo punto nevralgico il Mef si muove con circospezione: "È legittimo presentare emendamenti, purché siano auto-coperti. Se si chiede l’aumento delle pensioni minime, bisogna dire dove si trovano i soldi. Ci vuole consapevolezza del momento difficile che il Paese sta attraversando". Consapevoli a Forza Italia lo sono, ma di qui ad accontentarsi di niente c’è una certa differenza. Così, si affaccia l’ipotesi più invisa agli occhi della premier: un ritorno della manovra in Consiglio dei ministri per ulteriori limature. L’opposizione lo chiede, Renzi addirittura scrive al Quirinale per chiedere al capo dello Stato di "svolgere verifiche" sul comportamento del governo, ai limiti della "violazione costituzionale".
Meloni vuole evitarlo ad ogni costo, perché restituirebbe il quadro di una maggioranza divisa mentre lei mira a presentarla granitica. Soprattutto, la palese spaccatura indebolirebbe l’immagine del governo all’estero, dove si gioca la vera partita, quella sulla riforma del Patto di stabilità su cui pende la richiesta italiana di scorporare dal rapporto deficit/Pil le spese strategiche. L’asso nella manica di Giorgia è la mancata ratifica del Mes, ma per avere qualche possibilità di giocare la sua unica carta vincente con successo non può permettersi di guidare un governo che appare rissoso, caotico e diviso: "Non ho problemi né con Salvini, né con Tajani, né con Mediaset", assicura lei. Al momento proprio questa è la foto che la querelle sulla legge di bilancio sta restituendo agli italiani e soprattutto all’Europa.
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