Mercoledì 13 Novembre 2024
LORENZO CASTELLANI
Politica

Maggioranza alla prova: la linea soft del Governo su Ucraina e Israele per evitare gli scossoni

Ministri e leader di centrodestra scongiurano l’invio di truppe. L’Italia in scia alla posizione degli Usa, ma con maggiore cautela

Il ministro della Difesa Guido Crosetto

Il ministro della Difesa Guido Crosetto

La politica estera italiana tende sempre a essere reattiva più che propositiva. Anche il governo Meloni preferisce rispondere alle mosse altrui con pragmatismo più che sviluppare una propria linea autonoma. D’altronde i vincoli di politica estera ed economica che gravano sul nostro Paese non consentono ambizioni ulteriori in questa fase. Le recenti dichiarazioni degli esponenti del governo sul futuro della guerra in Ucraina e nel Medio Oriente lo dimostrano.

Sulla prima, mentre Francia, Paesi baltici e il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ipotizzano un possibile impegno di truppe europee, con delle fughe in avanti dal punto di vista politico, Meloni, Tajani e Salvini, pur con varie sfumature, convergono nello scongiurare un coinvolgimento militare diretto dell’Italia nella guerra russo-ucraina. La linea della maggioranza è ab bastanza chiara: sì alla fornitura di aiuti e armamenti, no all’impegno bellico. La deterrenza alle mire russe passa dunque per il sostegno a Kiev ma non per la guerra calda secondo l’esecutivo italiano.

Negli ultimi giorni è inoltre interessante notare anche una maggior prudenza nei confronti del governo israeliano, mai apertamente condannato dal governo italiano nelle sue azioni contro i civili di Gaza. Anche qui è una posizione cauta: l’esecutivo non è intenzionato a riconoscere lo Stato palestinese, ma al tempo stesso attraverso le parole del ministro Guido Crosetto condannano l’assedio di Rafah, voluto dall’esercito di Netanyahu nonostante il parere contrario degli alleati occidentali.

A che cosa si deve un tale equilibrismo, che oggi sembra pagare sul piano politico, del nostro Governo? A tre fattori: il primo è che l’Italia cerca di tenersi nella scia della politica estera americana, ma senza eccedere in protagonismo sia sull’Ucraina che sul Medio Oriente. Da questo punto di vista l’Italia si posiziona come un Paese filo-atlantico ma di seconda linea. Il secondo è che i vertici del governo hanno un occhio su sondaggi, con le elezioni europee alle porte, e questi indicano una larga maggioranza di italiani contraria a una guerra diretta. Il terzo motivo è un tema di risorse militari che sono concentrate dall’Italia sul Mediterraneo, attraverso il piano Mattei e con il contrasto agli Houthi nel mar Rosso.

Viene da chiedersi in conclusione fino a quando questo equilibrio possa durare senza creare spaccature nella maggioranza. La risposta va ricercata nella politica estera americana. In altre parole, queste posizioni sono sostenibili fino all’eventualità in cui gli Stati Uniti non richiedano a tutti i propri alleati di fare qualcosa in più, soprattutto in Ucraina. A quel punto se all’Italia verrà richiesto di entrare in coalizioni belliche o di fornire supporto militare a Kiev l’equilibrio cambierà e anche i rapporti nella maggioranza si faranno più difficili. È evidente infatti che la politica estera americana si fondi sempre più su una teoria bellica di guerra per procura, vale per l’Europa e per gli alleati del Pacifico.

Accanto a questa tendenza si accosta il possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, il quale potrebbe accelerare questo processo. Se ciò accadesse, la politica estera potrebbe diventare da carta positiva a spina nel fianco del governo Meloni. Non va dimenticato che spesso i governi italiani risentono del cambio di amministrazione a Washington, con rimpasti e cadute degli esecutivi che spesso cominciano dalla difficoltà ad adeguare la linea di politica estera italiana a quella americana.