
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, 48 anni, al banco del governo con i suoi vicepremier Antonio Tajani. (Forza Italia, 71 anni) e Matteo Salvini (Lega, nato. nel 1973)
Non è di certo Scherzi a parte, come si schermisce dalle polemiche Matteo Salvini. Quando un vicepremier si organizza un rendez-vous col vicepresidente degli Stati Uniti JB Vance nello stesso momento in cui la presidente del Consiglio di centrodestra Giorgia Meloni sta cercando di rinnovare le promesse di affinità non proprio integrale col presidente Donald Trump, si potrebbe quasi chiamare un dispetto, se non peggio. Tanto è vero che l’altro vicepremier Antonio Tajani ha risposto per le rime che la politica estera è cosa che attiene a lui e alla premier. Che non a caso ha deciso di essere al summit dei ’volenterosi’ giovedì a Parigi.
L’attivismo del leader del Carroccio è stato interpretato dagli alleati come l’offensiva politica che in effetti è. Salvini è alla vigilia del congresso leghista da cui si aspetta una nuova investitura. Ma soprattutto è l’evoluzione del quadro europeo che induce all’attivismo il leader del Carroccio. Dopo il flop del piano ReArm per la generale freddezza dei partner europei (Germania esclusa) e il confinamento dell’eventuale missione di pace dei cosiddetti "volenterosi" ai confini tra Europa e Ucraina (anch’essa simbolicamente esclusa), la Lega e gli altri sovranisti si sentono a maggior ragione autorizzati a proporsi garanti dei migliori rapporti con gli Usa di Trump e la loro politica isolazionista e bilateralista all’insegna delle minacce di dazi.
La stella della premier Meloni, infatti, è un po’ in declino dalle parti della Casa Bianca. Trump l’apprezza, ma nel suo entourage non si sono mai fidati fino in fondo. La premier, del resto, è sì una conservatrice occidentale, ma altrettanto poco affine alle alzate dispotiche che vanno per la maggiore a Washington; se non altro per la consolidata e sacrosanta paura di dissipare un patrimonio di accreditamento democratico costruito nel corso di decenni. Meloni, insomma, sta in Europa in rapporto privilegiato col Ppe, dove comunque non vuole giammai entrare per "morire democristiana", e al tempo stesso con gli Usa di Trump. Salvo che in effetti i veri interlocutori politici dell’amministrazione statunitense si profilano i patrioti di Salvini, Viktor e Marine Le Pen. Il che nel prossimo futuro potrebbe avere un impatto concreto. Non è un caso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si sia espresso contro le politiche protezionista propugnate dagli Usa e anche il leader del Ppe Manfred Weber richiami Salvini. "Bisogna smettere di seguire i populisti", avverte Weber. Riconoscendo che "l’amministrazione americana è per definizione il nostro partner" il leader dei popolari europei fa presente che "l’amministrazione Trump è una sfida per noi" e si dice "preoccupato che Salvini e gli altri patrioti ammirino Trump, perché Trump ora vuole imporre i dazi contro i prodotti europei".
La questione sta tutta qui: nei rapporti di forza tra Usa e Europa. E il flop del piano ReArm, data l’impossibilità di fare debito della maggioranza dei Paesi a parte la Germania, non aiuta paradossalmente a distendere le relazioni. Saltato il solo elemento europeo comune, anzi, tutti i Paesi sono indaffarati a negoziare in proprio. Appunto su questo terreno cerca di insinuarsi Salvini con l’incontro tematico con Vance in materia di trasporti. Se non fosse che nel frattempo Meloni sta cercando da diverse settimane di ottenere un nuovo invito alla Casa Bianca per salvare non solo i rapporti transatlantici tra Italia e Usa, ma anche il ruolo che l’Italia conservatrice è riuscita a riguadagnare in Europa come sponda del Ppe.