Roma, 8 dicembre 2024 – Addio, Beppe Grillo. In fondo, lo ha voluto lui, il Garante, l’Elevato, il Fondatore, di ripetere un voto che già lo dava sconfitto e che, appunto, dopo la ripetizione, ha dato un risultato ancora più spietato. Ieri notte, dunque, nel corso della seconda votazione sullo statuto 5 Stelle, pretesa da Grillo in una sorta di conta tra due mondi contrapposti, il quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto (circa 90 mila iscritti) è stato raggiunto ampiamente. Non solo: è stato superato anche il numero dei votanti della volta precedente – che era pari a 61,23% – raggiungendo un totale di 64,40%.
L’80,56% dei votanti si è espresso a favore dell’eliminazione del garante. Conte, in fondo, l’aveva detto: “Supereremo il dato dell’altra volta e alla richiesta di votare risponderemo con più democrazia”. Così è stato. Il 24 novembre scorso gli iscritti si erano già espressi in modo inequivocabile sull’eliminazione della figura del Garante, con il 63,24% a favore e contrari il 29,09%.
A caldo, il presidente stellato ha commentato che “questa è l’onda dirompente della nostra comunità; ora si volta pagina, il M5s si rifonda sulle indicazioni arrivate con Nova dagli iscritti. Ora ci sono tante battaglie da fare tutti insieme per cambiare il Paese”.
Oggi pomeriggio, a risultati sgranati come un rosario da parte dei dirigenti del partito, Conte farà una diretta sui social per parlare con la sua comunità e presentare la metamorfosi di una creatura politica che da Movimento di piazza si trasformerà in un partito di “progressisti indipendenti”, per il momento deciso a non appiattirsi sul Pd, ma al fianco dei dem quando questo dovesse risultare strategico sia sul piano elettorale che politico.
Nessun matrimonio, dunque, ma una ‘relazione libera’ e per questo, si sostiene, ‘libera di maturare nelle diversità’. Anche nel declinare alcuni dei principi fondamentali della sinistra (ad esempio il tema immigrazione) in maniera diversa, smarcandosi da un ‘campo’ che stava zavorrando il Movimento verso il basso, condannandolo alla marginalità o quasi. Conte – a quanto si sostiene nel M5s – ha le idee chiare su dove portare il partito, con lo sguardo rivolto a quello che sta accadendo in Germania, Francia e Europa in generale. E dove sembra esserci sempre più la necessità di una terza via che tenga dentro la protesta dell’antipolitica delle radici grilline (ancora presente nell’elettorato, ma soprattutto nella larga fascia astensionista) e il pragmatismo di chi, come Conte, ha già governato e conosce la forza, ma anche la fragilità del sistema, a partire dall’Italia. E Grillo? Ora cosa farà l’Elevato defenestrato due volte? Ormai è solo, al massimo accompagnato da un’armata alla cui testa sembra esserci, al momento, solo Danilo Toninelli visto che Virginia Raggi e Alessandro Di Battista hanno negato ogni volontà di seguirlo. Di certo impegnerà Conte in una battaglia per il simbolo, che l’Elevato mira a custodire in un museo “per quello che ha rappresentato” e che forse Conte potrebbe anche trasformare in qualcosa di diverso, con grande attenzione però a chi, nello zoccolo duro del partito, a quel simbolo si sente legato come alla propria casa. Sarà una battaglia dura, questa, non secondaria a quella principale sulla leadership, ora conclamata. Poi, ovviamente, c’è il resto. Grillo ha sì perso il suo ruolo e anche il suo stipendio da “comunicatore” del Movimento – ruolo contestato da Conte per via della “controinformazione” messa in campo dal Garante in corso di contratto da 300mila euro l’anno –, ma potrebbe portare via voti al partito contiano. Lo hanno notato, nei giorni scorsi, i sondaggisti. Antonio Noto ha fatto sapere che nella pancia dell’elettorato grillino, in caso di scissione, ci sarebbe il 65% degli intervistati che sceglierebbe Conte e ben il 28%, quasi un terzo, Grillo. Tradotto in percentuali, visto che al momento Noto stima il M5s all’11% a livello nazionale, significherebbe il 7% a Conte e il 4% a Grillo. Insomma, il vero post partita comincia adesso. Ed è tutto da giocare.