A metà pomeriggio, quando la tempesta infuria oramai da ore, Giorgia Meloni alza il telefono e chiama l’amico Elon. Gli chiede senza perifrasi di darle una mano a stemperare la tensione, tenendo presente che "ingerenze negli affari interni degli altri Stati sono inopportune". Lui ottempera, ma a modo suo. Cioè ribadendo la massima deferenza verso il capo dello Stato e auspicando un incontro con lui (lo rivela su X Andrea Stroppa, il suo referente) ma senza rimangiarsi un cinguettio sui social. In realtà, a Palazzo Chigi, dove i nervi erano già tesi per il caso Fitto, l’intervento di Mattarella aveva destato grande irritazione. Non solo per la sostanza del messaggio, ma per la forma solenne che aveva scelto di conferire alle sue parole con una nota. Particolarmente urticante la sua staffilata sulla difesa della sovranità nazionale, una difesa che stavolta l’esecutivo aveva completamente trascurato.
All’inizio della vicenda, l’ordine di scuderia impartito dalla premier ai ministri era stato di mantenere un decoroso silenzio. Dichiararsi d’accordo con Musk sarebbe suonato come una specie di commissariamento, criticarlo voleva dire rompere con un personaggio che dal punto di vista politico ed economico è centrale nella sua strategia. Dopo l’uscita clamorosa di Mattarella non si può ancora tacere: la prima reazione è inviperita. Il ragionamento che le ’fonti’ attribuiscono alla premier suona banale: "Ascoltiamo sempre con grande rispetto le parole del presidente della Repubblica". Rispetto, ma nessuna condivisione delle dichiarazioni di Mattarella filtra dall’ufficio della premier. Pubblicamente non parla. A dire apertamente ciò che pensano sono i leader alleati. Antonio Tajani, segretario di Forza Italia, assicura: "Condividiamo le sagge parole di Mattarella, il linguaggio di Musk non ci appartiene, e pensiamo che non debba interferire nelle vicende italiane. Questo però non ci impedisce di sollevare la questione di un gruppo di giudici che travalica il confine del potere giudiziario". Quanto a Matteo Salvini, rilancia il pensiero noto: "Quando si tratta di difendere la sovranità e la sicurezza nazionale io sono in prima fila, quindi grande rispetto per il presidente Mattarella". Ma, aggiunge, "Musk ha il diritto di esprimere le sue opinioni. Io ho condiviso alcuni suoi passaggi e alcuni suoi giudizi sulla magistratura".
Sa Meloni che quanto ha lasciato uscire non può bastare, e infatti chiede alle due persone più vicinie a lei nel governo e nel partito, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e il responsabile dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli, di esporsi. Fazzolari abile, mette le cose in modo che suonino soprattutto come una critica alla sinistra: "Sempre utile l’intervento del presidente nel ribadire l’importanza del rispetto della sovranità nazionale. FdI respinge ogni tentativo di ingerenza estera: dai governi alle ong ai grandi media. Stupisce il sovranismo ’à la carte’ della sinistra, che in passato non ha esitato a cavalcare posizioni anti-italiane e oggi in Europa trama per tentar di far perdere la vicepresidenza della Commissione all’Italia". Donzelli si sbilancia di più ma stando attento a non contraddire l’amico miliardario: "Condivido anche virgole e pause delle dichiarazioni di Mattarella. Non so se Musk avrà un ruolo nel governo Trump, ma noi non abbiamo mai gradito quando ministri di altre nazioni attaccavano il governo. Non ricordo parole simili nel Pd quando attaccavano all’estero Meloni". In effetti l’accusa mossa ieri da molti nell’opposizione secondo cui l’esecutivo si sarebbe fatto dettare da Musk gli emendamenti al decreto flussi suona risibile.
Il governo non prenderà ordini dal patron di Tesla, ma la sua presenza ha iniziato ad avere un peso sulle vicende italiane e nulla lascia pensare che le cose cambieranno quando sarà a tutti gli effetti uno dei principali esponenti della nuova amministrazione americana. Giorgia si troverà numerose volte nel dilemma che ha dovuto affrontare ieri: da un lato il sostegno di Musk è prezioso sul piano internazionale. Dall’altro inevitabilmente il miliardario la spinge verso il ritorno a posizioni ben più radicali da quella sorta di equidistanza tra popolari e destra europea che occupa da quando governa l’Italia. Insomma, la linea espressa brutalmente da Steve Bannon, stratega della campagna nel 2016 del neo-eletto presidente americano, "se Meloni vuole un rapporto con Trump deve tornare quella che era quando FdI era al 3%", potrebbe passare dall’influsso di Musk.