Il giorno dopo la sua proposta di introdurre una tassa di successione a partire da patrimoni sopra il milione di euro, il segretario del Pd ha continuato ad attaccare a testa bassa. "Non mollo, è una questione di equità". Come dire: non era una voce dal sen sfuggita, ma una mossa ben studiata. La domanda del cronista a questo punto è: ben studiata per che cosa? Quale è il fine "vero" dell’idea lanciata da Letta visto che la realizzabilità della proposta almeno in questa legislatura è pari allo zero? Letta lo sa eppure va avanti.
Scopo della proposta non può quindi che essere "politico": posizionare il partito ancora più e ancora meglio a sinistra di quanto è stato finora. Togliere via la tentazione di andare a raccogliere consensi al centro. Posizionarsi a sinistra significa però rinunciare alla vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, l’idea che il Pd possa riunire sotto una stessa rappresentanza la parte centrale dell’elettorato e quella più spostata a sinistra, e di cui Letta da buon ulivista è stato da sempre sostenitore.
Se però ti confini a sinistra, bene che ti vada arrivi al venti. Con il venti nel maggioritario non ci fai niente, e invece puoi dire la tua con il proporzionale. Allora delle due l’una: o la proposta di Letta non ha né capo né coda e chissà perché è stata fatta (negli ultimi tempi il Pd ci ha abituati a scelte poco comprensibili, e quindi ci sta), oppure è il prodromo di una svolta verso il proporzionale che il segretario Pd avrebbe in mente di proporre prima della fine della legislatura. Magari per andare a intercettare in sede di alleanze future tutti quei movimenti che si stanno evidenziando al centro, e in Forza Italia in particolare, dove ogni giorno esce la notizia di una nuova corrente in via di formazione. Dalla Gelmni a Brugnaro. Una strategia, la virata al proporzionale, che cozza non solo con quanto Letta ha da sempre sostenuto, e questo passi perché in politica niente è eterno, quanto contro le idee e le esigenze della Lega e della Meloni. Si prevedono turbolenze.