Roma, 16 gennaio 2025 – È vero che Fratelli d’Italia ha avuto un risultato importante in Veneto alle ultime Europee ed è anche vero che Giorgia Meloni è a capo del partito di maggioranza relativa che, però, non ha neppure un governatore al Nord. Ma “sbaglia a pensare di poter fare la voce grossa con noi – spiegava ieri un maggiorente del Carroccio poco fuori Montecitorio, dove si è svolto, via Zoom, il Consiglio federale della Lega – perché senza la Lega il governo non c’è. E per noi, prima viene la Lega, poi tutto il resto, anche il governo”. Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe finita così, con un Consiglio federale compatto con il Doge veneto, Luca Zaia, e con il segretario federale, il vicepremier Matteo Salvini, che solidarizza con lui e parla di “totale sintonia” e di “squadra che vince non si cambia, la Lega è con Zaia”. E quindi, si rasserena il clima dentro un Carroccio ribollente dopo giorni di barricate tra la leadership leghista e il presidente della Regione Veneto, complice lo stop della Meloni sul terzo mandato (ribadito anche durante la conferenza stampa di inizio anno) e le conseguenti accuse di debolezza al vicepremier Salvini, che secondo la Liga avrebbe di fatto avallato la fine della stagione del Doge. “Totale sintonia e condivisione degli obiettivi fra Matteo Salvini, Luca Zaia e l’intero Consiglio federale; il Veneto è un modello di buon governo apprezzato a livello nazionale e internazionale. Per la Lega, squadra che vince non si cambia” è stato, alla fine, il proclama del Consiglio federale, massimo organo di governo della Lega, ribadito, poi, a margine anche dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, al termine del vertice. “Assolutamente sì”, ha risposto il titolare di via XX settembre a chi gli ha chiesto se sarà trovata una quadra con gli alleati, considerando che, in fondo, mancano ancora dieci mesi all’apertura delle urne regionali e il tempo, si sa, sistema sempre tutto: “Ma sì, si trova…”, ha ribadito poi, sornione. Meno conciliante il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo, che ha ricordato come il Carroccio “vuole tenersi le regioni dove governa” e chiede, quindi, a Meloni “di trovare una soluzione soddisfacente che faccia sì che gli alleati leali e collaborativi siano soddisfatti”. A riguardo, Luca De Carlo di Fratelli d’Italia, uomo di Meloni preso in considerazione per il dopo-Zaia in Veneto, l’ha messa giù così: “La compattezza dei nostri alleati è sempre garanzia di un confronto sereno che sono sicuro porterà il centrodestra alla scelta del miglior candidato per guidare la Regione per i prossimi 10 anni”. Sarà facile? Proprio no. Perché la linea “dura e pura” del tutti con Zaia ha visto partecipare attivamente non solo Salvini, ma l’intero partito, dai vice segretari Davide Crippa, Claudio Durigon e Alberto Stefani oltre ai ministri Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli.
E questo significa che ora la palla è di nuovo nel campo della maggioranza di governo dove la discussione sulle poltrone regionali non è di queste ore, ma viaggia sotto traccia nelle discussioni generali; la premier, a quanto si apprende, ha vissuto sempre con fastidio le prese di posizione intransigenti di Zaia, anche quella di mercoledì quando aveva ribadito ancora il suo no allo stop al terzo mandato. “Il limite dei mandati oggi c’è solo per 100 sindaci in Italia e per i governatori – ha spiegato –, ma i sindaci e governatori sono le uniche due cariche elettive. Vi sembra coerenza questa?”, le sue parole. Adesso la situazione è persino più complicata di prima, dunque, ma la Lega non è nuova a questi strappi; quarantacinque anni fa, il 16 gennaio del 1980, a Padova, nasceva la Liga veneta, movimento di riferimento delle battaglie autonomiste. E da allora, nulla, nella politica del Nord, è stato più come prima.