Quando il leader si toglie i sassolini dalle scarpe, possono uscire macigni. Macigni non sassolini sono, per esempio, quelli che Giuseppe Conte, presidente del consiglio del Governo giallo-verde, scaglia contro Matteo Salvini, suo vicepremier, ministro dell’Interno. È il 20 agosto 2019, a Palazzo Madama sono le 15. L’arringa dell’Avvocato del popolo è durissima: "Caro ministro, caro Matteo, se vuoi la crisi ritira i ministri... Evita di accostare slogan politici a simboli religiosi, l’incoscienza religiosa rischia di offendere credenti e oscurare il principio di laicità". E ancora. "Hai invocato le piazze e chiesto poteri, la tua concezione preoccupa. Non abbiamo bisogno di uomini con pieni poteri, ma con senso delle istituzioni". "Matteo, non hai dimostrato cultura delle regole". Salvini incassa, ma la mimica tradisce l’aplomb. La replica di Salvini conferma: "Mi spiace che lei mi abbia dovuto mal sopportare per un anno. Pericoloso, autoritario, irresponsabile, incosciente...Bastava il Saviano di turno a raccogliere tutta questa sequela di insulti, bastava il Travaglio, un Renzi, non il presidente del Consiglio".
Si erano tanto ama ti , come capita tra alleati, ma anche tra compagni di partito: le imagini del gelo tra Letta e Renzi, il giorno del passaggio della campanella dice più delle parole. Ma i sassolini segnano anche le esperienze di governo dei due protagonisti indiscussi della seconda repubblica: Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Berlusconi e la Lega Nord di Umberto Bossi arrivarono ai ferri corti, la prima volta, tra il ’94 e il ’95. Il Berlusconi I finisce il 17 gennaio 1995, dopo 251 giorni. Le parole furono pietre. Ricordano le cronache che in quell’occasione per Berlusconi Bossi era un "Giuda", un "ricattatore", un traditore che tenta "un furto con scasso per mere ambizioni di potere". Il Cavaliere, divenne "il Peròn della mutua" a cui "noi della Lega togliamo la fiducia" e grazie a cui "finisce la Prima Repubblica". Il bis, sette anni dopo.
Sorte analoga tocca al Professore bolognese. Per due volte. Il primo governo di Romano Prodi (in carica dal 18 maggio 1996 al 21 ottobre 1998) cade sulla per la scelta di Rifondazione Comunista e di Fausto Bertinotti di togliere l’appoggio esterno. Prodi non si toglie sassolini e prova di salvare il savabile: "Il governo - ha bisogno del sostegno di tutti coloro che si ritrovano nel nuovo grande movimento riformatore europeo e italiano e di tutti coloro che vogliono bene a questo nostro Paese e a questo nostro popolo". Alla fine della giornata, un abbraccio con Bertinotti salvò il rapporto personale, non il governo. La seconda volta di Prodi scocca il 22 gennaio 2008. Il casus belli sono le dimissioni di Clemente Mastella da ministro della giustizia. Il Professore ha deciso: se crisi dovrà essere, avverrà in Parlamento. Il 24 gennaio si presenta al Senato: "Chiedo un voto motivato, nessuno può sottrarsi nel dovere di dire quale altra maggioranza chiede al posto di quella attuale". Nulla di fatto.
A ritroso , dalla seconda alla prima repubblica: nel 1987 Bettino Craxi accusa apertamente l’alleato Ciriaco De Mita di essere causa della crisi del governo pentapartito guidato dal leader socialista. Agli anni ’80 risale la lite a distanza tra Beniamino Andreatta (ministro del Tesoro) e Rino Fomica (ministro delle Finanze) sulla separazione dei beni tra Tesoro e Banca d’Italia porrà fine al secondo governo Spadolini. I giornali la battezzarono ‘lite delle due comari’ Più vicino a noi, è la fine dell’esperienza a Palazzo Chigi di Mario Monti. tecnico per eccellenza, prima di Draghi. È il 16 novembre 2011, nel finale del discorso con il quale chiede la fiducia, fa capolino una stilettata british: "Il tentativo che ci proponiamo di compiere, onorevoli senatori, e che vi chiedo di sostenere è difficilissimo; altrimenti ho il sospetto che non mi troverei qui oggi". Parola a Draghi.