Roma, 22 dicembre 2024 – Ventuno anni fa. Due cellulari in mano – gli smartphone sarebbero arrivati un lustro dopo – la testa piegata davanti ai display, alla ricerca del numero del Presidente. Il Presidente è Giulio Andreotti. Lei è Giulia Bongiorno. Si lascia andare e grida: "E vai, assolto, assolto". Dall’altra parte c’è Andreotti, senatore a vita, imputato nel processo Pecorelli. Ripeterà, più o meno un anno dopo, sbattendo il pugno sul tavolo le stesse identiche parole. Sempre al telefono con Andreotti che nel frattempo era stato assolto definitivamente in quello che fu considerato il processo del secolo. Così entrò nelle case delle italiane e degli italiani con una versione che sarebbe diventata pressoché inedita, anche per i comportamenti e la compostezza (soprattutto fuori dall’aula) che avrebbe sempre tenuto poi. Giulia Bongiorno quando incrociò sulla sua strada Andreotti aveva 26 anni ed era una collaboratrice dell’avvocato palermitano Gioacchino Sbacchi, cui si era appoggiato Franco Coppi per la difesa del sette volte presidente del Consiglio, cui veniva contestato di aver avuto rapporti con la mafia.
Da quell’urlo liberatorio che certificava anche che la giovane collaboratrice dello studio Sbacchi era diventata una principessa del Foro sono passate tante vite. E nel frattempo anche Bongiorno ha assunto un rilievo e una posizione importante: è entrata prima in Parlamento e poi nelle stanze del governo. Ora è senatrice della Lega (dopo essere passata per An e in quota Fli nella lista “Con Monti per l’Italia“) e l’altro giorno era nell’aula bunker del Pagliarelli per l’atto finale (primo grado) del processo Open Arms, in cui era imputato il leader della Lega Salvini. Al verdetto di assoluzione, non si è lasciata andare come fece vent’anni prima. Ha pesato le parole, da donna di legge, prima ancora che da senatrice del Carroccio. "È stata un’assoluzione con formula piena, c’è la prova piena che non sussiste alcun reato. Non è una sentenza contro i migranti, ma contro chi sfrutta i migranti". I toni puntuti li aveva utilizzati nel corso del dibattimento.
La principessa del Foro è diventata da tempo Regina. Mettendo più che a curriculum – perché non ne ha bisogno – ma a referto altre difese importanti, in altre vicende processuali contestate. Una su tutte, al di fuori della politica: nel processo sull’omicidio di Meredith Kercher. Ancora Perugia come luogo del processo (così come fu per il processo Pecorelli). Un caso di cronaca nera che ha segnato Perugia: la giovane studentessa inglese uccisa e lei a prendere la difesa di Raffaele Sollecito, accusato con Amanda Knox dell’omicidio. Quando arrivò la prima sentenza che condannava Sollecito, non risparmiò critiche ai magistrati. Disse a proposito della sentenza: "Viziata da 194 errori grossolani oggettivi". Due aggettivi per colpire forte. Come finirà tutta la vicenda processuale Kercher è ormai tema da archivi di giudiziaria. Anche se l’eco non si è spenta, soprattutto in questi mesi in cui a Perugia si sta girando una serie tv su quegli anni.
Raccontano che quando Andreotti fu condannato in Appello nel processo Pecorelli, lei svenne letteralmente (dirà in un’intervista: "Avevo paura che morisse da condannato d’omicidio prima della Cassazione") e qualche giorno dopo si vide recapitare a casa una Coppa d’argento di un’antica regata direttamente da Andreotti. E c’era scritto: "Nelle regate chi gira per primo la boa spesso perde". Un invito a non mollare. E alla tenacia che a Bongiorno non è mai mancata. Anche nell’impegno quotidiano contro le violenze di genere, con l’associazione Doppia Difesa. Altro fronte in cui è in prima linea.