L’ha vista arrivare, certo, e l’applaude: "Faccio i miei complimenti al Rassemblement National e ai suoi alleati per la netta affermazione al primo turno". Il giorno dopo il voto in Francia, Giorgia Meloni porge i suoi omaggi a Marine Le Pen. Un po’ perché è congeniale alla sua narrazione: pure lei rappresenta quella che gli inglesi chiamerebbero underdog, la sfavorita. "Il tentativo di mettere all’angolo il popolo che non vota per le sinistre è un trucco che non funziona più". La destra, insomma, può essere vincente anche Oltralpe e "con intese già al primo turno". Un po’ perché le serve per arginare Matteo Salvini, che sbandiera "l’alleanza e l’amicizia" con la leader di Rn. Un conto è lasciare ’all’indisciplinato’ vicepremier leghista una leader dell’opposizione, altro una figura che potrebbe essere la prossima presidente della Repubblica francese.
C’è chi ipotizza che Giorgia abbia telefonato alla sua alter-ego francese. Vero? Falso? Di sicuro, tra i meloniani c’è chi pensa che il successo di Marine Le Pen può aiutare a indebolire l’asse franco-tedesco. Quantomeno, apre a giorni di profonda incertezza per le istituzioni comunitarie. Da qui alla plenaria di metà luglio i nuovi assetti sono tutt’altro che blindati e l’effetto domino di una potenziale vittoria di Rn ai ballottaggi del 7 luglio potrebbe rendere assai perigliosa la strada di Ursula von der Leyen per il bis alla guida della Commissione. La coalizione Ppe-Socialisti-Renew non basta a evitare la trappola dei franchi tiratori. Ragion per cui Ursula cerca puntelli: ieri ha ricevuto a Palazzo Berlaymont il co-presidente dei Verdi, Bas Eickhout: "Abbiamo discusso costruttivamente della possibilità di una maggioranza stabile e democratica, ma abbiamo chiarito che non saremo parte di una maggioranza che negozia o fa affidamento con l’estrema destra, Ecr inclusa", ribadisce Eickhout.
Nulla che Meloni non sapesse. Ma queste parole arrivano a Palazzo Chigi nelle ore in cui Salvini costruisce ponti d’oro al gruppo sovranista ’Patrioti europei’ fondato dal premier ungherese Viktor Orban, da ieri presidente di turno del Consiglio Ue. "Fare un grande gruppo che ambisca a essere il terzo nell’Europarlamento è la strada giusta". Chiosa l’ungherese: "Presto a noi si aggiungerà un partito italiano".
E così, la sfida a Giorgia e al suo gruppo Ecr è ufficialmente lanciata. La nuova formazione ha già superato il numero minimo di eurodeputati richiesti (che è di 23) e non dispera di coinvolgere un numero sufficiente di coalizioni nazionali (il minimo è 7) per arrivare a dama. Né è escluso che i Patrioti possano confluire in Identità e democrazia – il vecchio gruppo di Le Pen e Salvini – per dar vita alla più grossa formazione della destra: non a caso Id ha rinviato la riunione costitutiva a lunedì, dopo i ballottaggi francesi, al pari dei Patrioti. Intanto, Orban corteggia i polacchi del Pis (20 parlamentari), attualmente nell’Ecr: alleanza complicata, perché lui è filo-russo mentre i polacchi sono sulla sponda opposta, ma in politica niente è mai scontato. Una perdita dolorosa per il gruppo di Meloni, che sarebbe fortemente ridimensionato, passando da 83 a 63 deputati: domani si capirà quello che accadrà.
Prende tempo anche Giorgia: al momento, non cambia idea. E si appresta a trattare con Ursula sul portafoglio che spetta all’Italia nella Commissione. D’altra parte, nemmeno i suoi interlocutori a Bruxelles si aspettano che trasformi la sua astensione su von der Leyen in un no. Nella consapevolezza che i 24 voti di FdI per la tedesca sono preziosissimi: "Serve stabilità, occorre aprire ai conservatori", ripete Antonio Tajani, vicepremier forzista. C’è una variabile che tutti tengono in considerazione: la reazione dei mercati. Per ora stanno tenendo, ma per una risposta definitiva bisogna aspettare il secondo turno delle legislative: se digerissero senza scosse eventuali cambiamenti in Francia, una modifica dello schema sulle nomine concordato da Ppe-S&D–liberali la scorsa settimana potrebbe forse diventare plausibile.