Prima ha fatto "parlare" la sua sentenza. Ora scende in campo lei, Silvia Albano, giudice della sezione migranti del tribunale di Roma che non ha convalidato il trattenimento di uno dei dodici migranti nel cpr di Gjader lo scorso 18 ottobre. "Sono stata scelta come parafulmine perché era comodo. Abbiamo subito una campagna che nei fatti si è tradotta in intimidazione". Sceglie il convegno sui 60 anni di Magistratura democratica, di cui è presidente, per sfogarsi: a questo gioco al massacro (è sotto vigilanza per le minacce ricevute) non ci sto, sottolinea. "Non ho nessuna intenzione di andare allo scontro con il governo, è il governo che vuole fare uno scontro con me e io voglio sottrarmi. In tasca non abbiamo il libretto di Mao né il Capitale di Marx, ma la Costituzione", avverte con l’occhio rivolto verso Salvini e le sue accuse.
Già, è il leader della Lega quello che cavalca, molto più degli alleati, l’affaire Albania. Ogni giorno, un attacco pubblico. Una vendetta per il processo cui è sottoposto a Palermo. Ma anche una bandiera da sventolare in campagna elettorale. Infatti, parte subito lancia in resta: "Invito tutti i giudici a lavorare come stanno facendo. Se qualcuno non è d’accordo, toglie la toga, abbraccia la bandiera rossa, fa la tessera del Pd e si candida alle elezioni". Ecco, se c’è una cosa che manda su tutte le furie i giudici è l’accusa di avere interessi di partito: su tutto il resto – ragionano – si possono avere pareri diversi, ma questo delegittima l’ordine. Lo sa Salvini che insiste: "Questi giudici non fanno il male del governo o mio, ma dell’Italia". Inaccettabile, per il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, che definisce il clima "peggiorato" rispetto al periodo in cui Berlusconi era a Palazzo Chigi. "Prima erano i pubblici ministeri le toghe rosse e ora le toghe rosse sono dappertutto. Ma la rappresentazione di un potere che diventa arbitrario ed eversivo è inaccettabile". Al suo fianco, si schiera Elly Schlein: "Inaccettabile questo scontro istituzionale".
In questo quadro, Fratelli d’Italia sceglie di non alzare i toni. Forse perché a via della Scrofa si rendono conto che il protocollo albanese si sta trasformando in boomerang. O forse perché non vogliono ulteriormente inquinare l’aria. Non casualmente, il guardasigilli Carlo Nordio usa il convegno delle toghe progressiste per proporre uno scambio che favorisca il dialogo: "Mi auguro che in futuro ci sia meno critica della magistratura sul merito politico delle leggi e un abbassamento dei toni della politica nel criticare le sentenze". Dialogo che, secondo Silvia Albano, dovrebbe tradursi nel coinvolgimento di esperti su proposte di leggi piuttosto che procedere a colpi di decreto. "È giusto criticare le leggi – osserva Francesco Paolo Sisto (FI) vice di Nordio alla Giustizia, – ma non si può interferire con i percorsi formativi delle leggi". Allo stato, è un dialogo fra sordi. Lontani anni luce anche sulla separazione della carriere.
Un braccio di ferro che rischia di ripetersi oggi, quando i sei giudici della sezione immigrazione del tribunale monocratico di Roma si pronunceranno sulle ordinanze di trattenimento dei sette migranti portati tre giorni fa in Albania. Le previsioni sono per sentenze simili a quelle dello scorso 18 ottobre che produssero il ritorno in Italia dei primi dodici extracomunitari trasferiti a Gjader, perché identico è il caso e perché i tribunali si sono già espressi in questo senso. "Temo che possa reinnescarsi una polemica che non giova a nessuno", osserva Santalucia. Ma si sa che quando le vicende arrivano a un simile punto di delicatezza di solito spuntano considerazioni di ordine politico e diplomatico in base alle quali una via d’uscita legale si trova sempre. Vedremo presto come finirà. D’altronde se il caso è uguale, una differenza nel collegio giudicante c’è: non ci sarà Silvia Albano. Di sicuro, però, se le sentenze saranno anche parzialmente diverse da quelle di ottobre, per il governo sarà un successo che porterà quasi automaticamente a un abbassamento dei toni. In caso contrario le impugnerà alla Corte d’Appello. E il ping-pong continuerà. Solo un pronunciamento della Corte di giustizia europea potrebbe chiudere questo rimpallo che si gioca sulla pelle dei migranti.