Lunedì 28 Ottobre 2024
DAVIDE NITROSI
Politica

Le nomine e l’autonomia dei ministri

Il braccio di ferro nel governo

GIULI NEL MIRINO SI DIFENDE, VEDRO' REPORT CON IL MIO LEGALE

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli (Ansa)

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Per ora, direbbe Agatha Christie, siamo a due indizi. Che quindi fanno una coincidenza. Con una forte vocazione a diventare una prova, aggiungiamo malevoli. Il tema è spinoso. Domanda: quanto sono liberi i ministri quando fanno le nomine? Quanto conta l’imprimatur – nel migliore dei casi – che Palazzo Chigi (e quindi il potere di Fratelli d’Italia) assegna alle libere scelte dei liberi ministri?

Primo indizio, il caso Giuli-Spano. Il ministro scelto per sostituire, anche con belle maniere, Gennaro Sangiuliano al timone della cultura italiana aveva interpretato il ruolo come si confà. Il capo di gabinetto lo sceglie il ministro. E invece Spano finisce impallinato dal fuoco amico, per così dire. E Giuli si trova impantanato in una trincea dove la melma è il meno: o ti metti raso terra o ti sparano. Sia i nemici, sia i tuoi alle spalle, apparentemente nelle retrovie.

Secondo indizio, e siamo alla coincidenza (sospetta). Il 15 novembre il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Teo Luzi, lascerà l’incarico per limiti di età. Al suo posto non si sa ancora chi subentrerà. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, si direbbe il più titolato visto il ruolo di cui si parla, vorrebbe il generale di Corpo d’armata Salvatore Luongo, già stimato vice comandante generale. Ma la nomina si è incagliata. Perché altri nomi sono in campo, suggeriti dalle stanze di Palazzo Chigi vicine alla premier.

Morale? Tutto fa pensare che il braccio di ferro sull’Arma potrà essere non solo il secondo indizio ma anche la prova rivelatrice dell’autonomia dei ministri. Sotto tutela mai, avrebbe detto Giuli. Ma nessun ministro ha voglia di essere messo sotto tutela. Il potere corrobora chi ce l’ha e logora chi non ce l’ha. E logora un ministro oggi, logora un altro domani, alla fine è la casa (o meglio, il Palazzo) che si logora.