Roma, 6 gennaio 2024 – È politica, ma sembra il gioco dello shanghai. Basta muovere un pezzo nella maniera sbagliata per provocare il crollo dell’intera costruzione. Il pezzo debole c’è e si chiama Sardegna: per le elezioni del 25 febbraio FdI punta su Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari e molto vicino a Giorgia Meloni. "L’abbiamo scelto l’altro ieri a larga maggioranza – sottolinea la coordinatrice tricolore sarda, Antonella Zedda – se Lega e Partito Sardo d’Azione vogliono rompere, facciano pure". Non se la fa ripetere due volte Salvini, che punta le sue fiches sull’attuale governatore, Christian Solinas. E manda in campo il suo vice, Andrea Crippa: "O si conferma no gli uscenti, o si riapre tutto". Ed ecco la miccia che rischia di creare un’esplosione devastante.
Perché il problema appunto è che spostare quel bastoncino fa barcollare tutti gli altri: nel mirino della Lega c’è l’Abruzzo – dove si vota in primavera – e l’attuale governatore Marco Marsilio, che la premier non ci pensa proprio a far saltare. Chiamata alle urne più o meno nello stesso periodo è anche la Basilicata, guidata da Vito Bardi di Forza Italia che cerca una riconferma. Un bis di Solinas, inutile dirlo, farebbe salire anche le quotazioni dell’azzurro. In alternativa, a via della Scrofa si fanno i nomi dell’assessore regionale all’ambiente Cosimo Latronico, o del coordinatore regionale Piergiorgio Quarto. Ma potrebbe essere anche ’merce di scambio’ con il Carroccio per arrivare a un compromesso in Sardegna: di qui il nome di Pasquale Pepe. A giugno si balla pure in Piemonte, dove l’azzurro Alberto Cirio finora non è stato messo in discussione, come la leghista Donatella Tesei alla guida dell’Umbria che andrà al voto in autunno. Ma se la maionese impazzisce, tutto è possibile. Telefoni infuocati ieri per i referenti nazionali: "Sappiamo che il tempo stringe, i simboli in Sardegna vanno presentate entro il 15 gennaio, troveremo un accordo – assicura l’azzurro Maurizio Gasparri –. Siamo tutti in contatto".
Niente esclude che al tavolo siedano anche i leader. Del resto, il problema non si ferma alle candidature per questa mini tornata delle regionali. Sullo sfondo c’è un nodo irrisolto che la maggioranza continua a trattare come si fa quando si nasconde la polvere sotto il tappeto: il terzo mandato. FdI non lo vuole, perché mira al bersaglio grosso il Veneto. Obiettivo proibito e proibitivo finché Luca Zaia, il vicerè, è in campo: togliendo il tappo, Giorgia avrebbe campo libero per il suo candidato, il senatore Raffaele Speranzon.
Peraltro il guaio è bipartisan: nessun problema per questa tornata a sinistra, parecchi e pesantissimi nel 2025 se non si sblocca la regola del terzo mandato. In ballo ci sono Emilia Romagna, Puglia e Campania con i rispettivi governatori: Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. Tutti e tre spingono per quella deroga che più volte Elly Schlein ha detto che non le interessa. Tra tutti il caso più ’rognoso’ è la Campania: ad uscire di scena De Luca non ci pensa proprio. Determinato, comunque, a far pagare cara la sua defenestrazione alla leader Pd. Meno inquietanti gli altri due fronti: tanto Emiliano quanto Bonaccini potrebbero godere di un paracadute: comunale il primo (Decaro gli lascerebbe il posto da sindaco di Bari per ascendere alla presidenza della Regione), mentre il secondo mira a una candidatura in Europa. E potrebbe incrociare le lame nella circoscrizione Nord-orientale proprio con Zaia.
Ora, il governatore veneto ha una grande popolarità. E il suo fascino è destinato a crescere se diminuiscono i voti del Carroccio nelle urne. Ecco perché Salvini si è impuntato su Solinas e – spinto da vari amministratori della Lega – solo una settimana fa ha rilanciato l’ipotesi di abolire il tetto ai mandati di sindaci e governatori. "Porre dei limiti è una sottrazione di democrazia". Insomma: tutto si tiene.
Così, il voto per rinnovare l’Europarlamento è il terzo cerchio intorno al caso Sardegna. Giorgia ha lanciato un invito implicito ai due alleati, Tajani e Salvini, a candidarsi, condizione perché anche lei lo faccia, perché è giusto confrontarsi con gli elettori e perché aprirebbe alla possibilità che anche i capi dell’opposizione lo facciano. E la gara – immagina la presidente del Consiglio – sarebbe a senso unico. Magari con più sapore ancora se la pietanza si condisce con la candidatura di qualche ministro. "Decideremo insieme", ha promesso. Ed ecco che la destra arriva all’appuntamento come spesso è capitato a tutte le coalizioni politiche italiane di destra o di sinistra, avendo lasciato una ferita aperta invece di curarla, quella ferita ora è in suppurazione e il problema è diventato enorme.