Lunedì 27 Gennaio 2025
ELENA G. POLIDORI
Politica

L’Anm attacca Nordio: "Il carceriere libico liberato per la sua inerzia"

Mercoledì Piantedosi tornerà alla Camera per un’informativa sulla vicenda. L’opposizione contro il governo: "Stanno mentendo in modo clamoroso".

Mercoledì Piantedosi tornerà alla Camera per un’informativa sulla vicenda. L’opposizione contro il governo: "Stanno mentendo in modo clamoroso".

Mercoledì Piantedosi tornerà alla Camera per un’informativa sulla vicenda. L’opposizione contro il governo: "Stanno mentendo in modo clamoroso".

Il caso Almasri – Naieem Osema Almasri Habish – è tutt’altro che archiviato, nonostante i tentativi del governo di stemperare le polemiche e di derubricare la questione a mero fatto di "sicurezza nazionale". L’Amn, ieri, è partita all’attacco accusando il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, di inerzia e dunque di essere la causa dell’avvenuta liberazione del militare libico, contro il quale era stato spiccato un mandato di cattura internazionale, mentre la polemica politica non accenna a placarsi, al punto che il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, tornerà alla Camera, mercoledì prossimo per riferire nuovamente sul caso. Di fatto, tuttavia, l’attacco della magistratura, chiamata in causa, è stato contro Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio, sabato, aveva sostenuto che il libico era stato rilasciato "non per scelta del governo ma su disposizione della magistratura" e poi espulso perché, come aveva già affermato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, "soggetto pericoloso". Una spiegazione che è rimasta indigesta al sindacato dei magistrati: "In realtà, Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto – perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il 20 gennaio –, e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale", è stata la dura risposta della Giunta esecutiva centrale dell’Anm.

La corte de L’Aja, dal canto suo, ha rimarcato di aver " spiccato unmandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mittiga" e l’associazione ha quindi insistito per "amor di verità", come si legge nella nota, nella "scelta politica" dietro il rimpatrio e nel "silenzio del Guardasigilli" che era "il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva". Per questo, sottolinea l’Anm, Almasri è stato liberato e riaccompagnato in Libia seppur indagato per crimini atroci. A tal proposito, giusto ieri si è saputo che nel carcere di Mittiga (Tripoli), diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 34 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie. Fatti contenuti nel dispositivo della pre-trial Chamber della Corte penale internazionale che lo scorso 18 gennaio ha notificato - a maggioranza - il mandato di arresto. Almasri, secondo i giudici dell’Aja, "ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli".

Ragioni, queste, utilizzate da Piantedoisi il 23 gennaio scorso, nel corso di un question time al Senato, per sostenere il fatto che "il rimpatrio di Almasri" sia avvenuto per "urgenti ragioni di sicurezza" dopo un provvedimento di espulsione. I crimini di cui è accusato il generale libico, in questo caso, sarebbero stati commessi anche dai membri della Rada, le Forze speciali di deterrenza, una milizia nata per combattere le forze di Gheddafi di cui il generale sarebbe il capo.

Il mandato di cattura verso Almasri è scattato dodici giorni dopo l’inizio del suo viaggio in Europa. Il cittadino Libico prima di essere fermato ha trascorso, infatti, alcuni giorni nel Regno Unito, Belgio e Germania superando i controlli. Poi domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato a Torino, è stato bloccato e messo in carcere dalla polizia italiana. La scarcerazione è arrivata 48 ore dopo su disposizione della Corte d’Appello a causa di un errore procedurale. Per i giudici si è trattato di un arresto irrituale perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al ministro della Giustizia.