Roma, 26 ottobre 2024 – Fui io a portare l’argomento sul tavolo nell’intervista per il mio libro in uscita. Chiesi a Giuseppe Conte se non fosse stravagante per un partito pagare il suo Khamenei, l’inarrivabile Capo Supremo, l’Elevato soprannaturale, il Garante che tutto può e tutto decide. Conte non batté ciglio e rispose che siccome la cosa è stravagante assai, Grillo percepisce 300mila euro all’anno non come Garante, ma come grande comunicatore. Ma poiché comunica contro il Movimento, il contratto non sarà rinnovato.
E quando chiesi a Conte se la comunione con Grillo si è conclusa in via definitiva, lui rispose: "Qualcosa si è incrinato in maniera irreversibile". Finisce così dopo quindici anni esatti una storia cominciata il 4 ottobre 2009 quando Grillo e Gianroberto Casaleggio annunciarono la nascita del Movimento 5 Stelle. Sembrava poco più di uno scherzo, ha cambiato la storia d’Italia. Non avendo radicamento territoriale, il M5s fu inafferrabile per quattro anni. Quando alle politiche del 2013 superò il 25 per cento dei voti contro il 29 del centrosinistra e del centrodestra (la famosa "non vittoria" di Pier Luigi Bersani), l’Italia impazzì. Ricordo il capitalismo in ginocchio quando Gianroberto Casaleggio entrò da una porta secondaria nel salone del Forum di Cernobbio, pronunciò il Verbo e scappò dalla stessa porta senza che nessuno potesse rivolgergli la parola. Era proibito a tutti dare interviste televisive. Fece eccezione (ma solo perché era un libro) Luigi Di Maio, giovanissimo vicepresidente della Camera (26 anni).
All’uscita del suo studio, dissi: "Questo è andreottiano". Era la più formidabile rivolta dei cittadini contro il sistema dei partiti. L’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini del dopoguerra era uno scherzetto, al confronto. Grillo ebbe un incidente di percorso alle Europee del ’14: venne a Porta a porta portando il plastico di un carcere dove rinchiudere tutti gli altri politici. Andò male: si fermò al 21 per cento, venti punti in meno del Pd di Renzi. Ma quando nel 2018 i “grillini“, come si chiamavano fino a poco fa, arrivarono al 32 per cento (contro il 37 del centrodestra e il 23 del centrosinistra) e fecero il governo con la Lega, all’estero non si facevano capaci che un comedian, un comico, tenesse in mano l’Italia. (sarebbe capitato con Zelensky in Ucraina, anche lui comico di successo, ma non siamo sicuri che Grillo sarebbe rimasto in trincea dopo un’invasione).
Di Maio e Salvini individuarono un professore di diritto, Giuseppe Conte, per fare il presidente del Consiglio. Doveva essere un docile strumento nelle mani di Grillo, ma come accade ai deboli cardinali che dopo l’ascesa al Sacro Soglio recuperano forze inattese, il Professore cominciò a fare di testa sua, si impadronì del partito, fino all’epilogo di oggi.
Non sappiamo come andrà a finire la complicatissima assemblea che tra un mese deciderà il futuro del Movimento. Ma il futuro è già deciso. Il glorioso M5s diventerà un partito come gli altri, forse tornerà il terzo mandato per i parlamentari, la storia dell’uno-uguale-uno andrà in soffitta e sarà un vantaggio per la democrazia italiana.