Roma, 29 giuugno 2024 – "Ah, ci fosse stata Angela Merkel – sospira uno dei protagonisti italiani della trattativa di giovedì notte a Bruxelles –. Portava a casa il risultato senza farsene accorgere, con una eleganza e una sapienza politica ormai scomparse…". "Ricorda i democristiani e i socialisti negli ultimi anni della Prima Repubblica?", mi dice un altro dei massimi negoziatori. "Stava franando tutto e loro si comportavano come se nulla fosse".
L’allusione è al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz. Il partito di Macron alle elezioni di domani rischia di piazzarsi terzo senza nemmeno arrivare al ballottaggio con gli uomini di Marine Le Pen. Il secondo, dopo la sberla alle elezioni europee del 7 giugno, ha la sua Spd quotata al 4/5 per cento nelle elezioni autunnali in alcuni Länder della vecchia Germania Est. Eppure si muovono come se nulla intorno a loro fosse successo. Macron ha già comunicato il nome del commissario, con imprudenza interna e malagrazia istituzionale. La presidente della Commissione, solo dopo essere stata confermata (se lo sarà) il 18 luglio, invierà ai diversi Paesi la lettera con la richiesta di indicare il commissario.
Da mesi è in corso la discussione sull’agenda europea dei prossimi anni e l’altra notte Macron e Scholz hanno provato a ribaltarla con un emendamento dovendo poi fare marcia indietro. In ogni caso hanno portato a casa il risultato: il portoghese Costa è un socialista duro molto legato allo spagnolo Sanchez come presidente del Consiglio europeo e la liberale estone Kallas come ministro degli Esteri e della Sicurezza: una baltica anti Putin.
Meloni ha votato contro entrambi perché facevano parte di un pacchetto non concordato e in ogni caso perché aveva detto: mai con i socialisti. Si è astenuta invece su Ursula von der Leyen per ragioni di equilibrio interno (Tajani è ‘popolare’ come lei, Salvini la detesta), ma soprattutto per avere le mani libere nella trattativa per le nomine future. La Germania ha già avuto von der Leyen, Italia e Francia dovranno avere ruoli pesanti, seguite da Spagna e Polonia.
Il premier polacco Donald Tusk (popolare) odia (ricambiato) il suo predecessore Kaczynski (conservatore, che non lascerà il gruppo Meloni, come s’era detto). La loro divisione crea problemi alla discussione dei popolari con i conservatori, mettendo in difficoltà von der Leyen che ha assoluto bisogno del sostegno a destra. Cinque anni fa fu eletta per il rotto della cuffia votata da Kaczynski, Orban e dai Cinque Stelle italiani.
Il suo rapporto personale con Meloni è eccellente e lo ha dimostrato seguendola in Tunisia e in Egitto parlando di migranti. Non può rischiare sorprese nello scrutinio segreto del 18 luglio perché, ad esempio, Manfred Weber, tedesco e popolare come lei, non ha mai dimenticato che la signora gli soffiò il posto… Von der Leyen deve camminare sulle uova: non spingendosi troppo a destra per non indispettire i tedeschi, ma nemmeno troppo poco perché ha bisogno dei voti conservatori.
Perciò l’Italia dovrebbe avere una vicepresidenza con una delle quattro o cinque deleghe che contano per Raffaele Fitto. Che nel governo sarebbe sostituito più da un profilo tecnico che si raccordi con lui a Bruxelles, piuttosto che un profilo politico difficile da individuare.