Per paradosso, visto il caos provocato dall’indagine sulla premier e sul governo per il caso Almastri, il suo caso è finito in seconda fila, ma in queste ore Daniela Santanchè, ministra del Turismo, sta giocando la sua partita finale. Sotto pressione da 12 giorni per attacchi continui dall’opposizione, ma anche dal suo stesso partito (che l’ha isolata dopo il rinvio a giudizio perché causa di imbarazzo per la premier Giorgia Meloni) per l’ipotesi di falso in bilancio e nella gestione della Visibilia che presiedeva (il processo inizierà a Milano il 20 marzo), oggi la Santanchè saprà per quanto tempo potrà ancora cercare di resistere prima di dimettersi.
La Cassazione, dopo l’udienza camerale di ieri, è infatti chiamata a esprimersi sulla competenza territoriale sull’altro filone di indagine che vede accusata la senatrice di Fratelli d’Italia: quello per truffa aggravata ai danni dell’Inps sulla cassa integrazione nel periodo Covid da parte della società del gruppo Visibilia da lei fondato (dal quale è uscita nel 2022 per assumere l’incarico di governo). La decisione è attesa per questa mattina. La ministra sta per chiudere la missione a Gedda, per l’inaugurazione del Villaggio Italia. Nella mattinata di oggi ripartirà per l’Italia, ma a meno che Meloni non solleciti un passo indietro, lei resisterà quasi a oltranza. "Se il mio presidente del Consiglio mi chiedesse di dimettermi, non avrei dubbi", ha chiarito. Accomunata – con le dovute differenze sul versante giudiziario – proprio a Meloni e ai colleghi di governo Nordio e Piantedosi, coinvolti nell’indagine sul rimpatrio del generale libico Almasri, Santanchè ieri si è schierata al loro fianco. "Trovo che sia una cosa veramente vergognosa indagare il premier, gli altri ministri, il sottosegretario per aver fatto cosa? Difendere la sicurezza della nostra nazione". E paradossalmente, proprio sul caso Almasri, il nome della Santanchè è tornato in ballo anche ieri. Protagoniste le opposizioni, dopo il forfait dei ministri Nordio e Piantedosi a riferire alle Camere sul caso libico. Convinte che il governo avrebbe così "umiliato di nuovo il Parlamento" (il copyright è di Francesco Boccia del Pd), hanno ricordato il precedente, appunto, della ministra del Turismo "venuta a riferire in Aula con indagini e inchieste in corso".
Sul fronte giudiziario, per il pg della Cassazione il procedimento deve rimanere nel capoluogo lombardo. Conclusioni in linea con i legali dell’Inps. I giudici dovranno stabilire se il procedimento deve proseguire davanti al tribunale di Milano, con l’udienza preliminare fissata davanti al gup il 26 marzo (chiamata a decidere per un eventuale rinvio a giudizio) o se gli atti dovranno, invece, essere trasmessi a Roma. In questo ultimo caso, il procedimento tornerà indietro alla fase precedente alla chiusura indagine. E la decisione sull’eventuale processo per la ministra arriverebbe tra diversi mesi.
Il vaglio della Cassazione è stato sollecitato dal gup di Milano che il 23 ottobre scorso dopo una istanza avanzata proprio dai difensori della ministra del Turismo. Secondo la tesi difensiva (legale Nicolò Pelanda) Roma è il luogo in cui è stato effettuato il primo pagamento a uno dei dipendenti di Visibilia Spa, relativo alla cassa integrazione, ossia su un conto bancario romano. Mentre la Procura ipotizza una presunta truffa con una condotta "continuata" su tutti i dipendenti e con l’ultimo pagamento su un conto a Milano di un altro dipendente. Secondo l’ipotesi dei pm Marina Gravina e Luigi Luzi, che hanno coordinato l’indagine assieme all’ex aggiunto e ora procuratrice a Lodi Laura Pedio, la ministra, il compagno Dimitri Kunz e Paolo Giuseppe Concordia, collaboratore esterno con funzioni di gestione del personale di Visibilia sarebbero stati consapevoli di aver richiesto e ottenuto "indebitamente" la cassa integrazione in deroga "a sostegno delle imprese colpite dagli effetti" della pandemia Covid per 13 dipendenti per oltre 126mila euro. A Santanchè, così come agli altri due, viene imputato dai pm di aver "dichiarato falsamente" che quei dipendenti fossero in cassa "a zero ore", mentre svolgevano le "proprie mansioni" in smart working. Per l’accusa, dal maggio 2020 al febbraio 2022, l’ente previdenziale avrebbe sborsato indebitamente 126.468 euro. Nel procedimento l’Inps è parte civile.