Qualcuno sostiene, nella maggioranza, che "è il sogno di Berlusconi che finalmente si avvera" mentre altri, all’opposizione, parlano di "scontro tra i poteri dello Stato ormai insostenibile", ma sta di fatto che ora il governo sta per passare dalle parole ai fatti. Aggiungendo un nuovo tassello allo scontro tra governo e magistratura che tanto sta preoccupando il Capo dello Stato. Ecco, dunque, che lunedì prossimo, dopo un passaggio tecnico già avvenuto nella precedente riunione a Palazzo Chigi, arriva in Consiglio dei ministri una bozza di decreto per introdurre una norma che potrebbe prevedere (il contenuto è circolato solo in bozza, dunque il condizionale è di rigore) azioni disciplinari per i magistrati che prendono posizione pubbliche su un argomento di cui si occupano o di cui si occuperanno. Perché – sostiene in ministro della Giustizia, Carlo Nordio – bisogna dire "no al diritto creativo, i magistrati siano ispirati a buon senso e legge". "Le bocche dei giudici – ha proseguito ieri, parlando in un convegno – non sono bocche mute, come Shakespeare definiva le ferite di Giulio Cesare, sono bocche che parlano e che devono essere ispirate dal raziocinio, dal buonsenso e dal principio di legalità e tassatività che derivano dalla Costituzione e dalla legge ordinaria".
Così, mentre la premier Meloni rivendica ancora lo stop all’abuso d’ufficio ("Penso che sia una cosa giusta. Serve ad assicurare serenità a chiunque intenda operare nella legalità, senza rischiare lunghi e disonorevoli processi per le persone perbene"), ecco che l’ammonimento alle toghe politicizzate, via nuovo decreto, riaccende le polemiche e suona un po’ così: i giudici hanno il "dovere di astenersi" se sono chiamati a giudicare su una vicenda per cui si sono già espressi ed esposti pubblicamente. Principio ribadito, poco più tardi, anche dal vicepresidente del Csm, Fabio Pinelli, avvocato leghista. Che con il suo consueto linguaggio tecnico si è schierato con il governo contro quei giudici che hanno disapplicato le norme emanate dall’esecutivo per contrarietà al diritto dell’Unione europea, prevalente su quello nazionale in base alla Costituzione. "In nome di pretese interpretazioni conformi alla Costituzione e al diritto dell’Unione europea – ecco le parole di Pinelli – il testo della legge non può essere superato, e non possono non essere rispettati i vincoli che lo stesso impone al giudice". La spiegazione è necessaria: secondo Pinelli, appellandosi alla Carta, i magistrati hanno "esondato dalla loro funzione" e attentato alla democrazia e alla separazione dei poteri. E "non si dica, per carità, che in base all’articolo 101 della Costituzione – ha concluso Pinelli – il giudice è soggetto ‘solo’ alla Costituzione; il costituente parla chiaramente di ‘legge’, non di Costituzione, e non c’è argomentazione seria che tenga per poter superare un dato testuale inequivoco e fondamentale per la tenuta degli equilibri dello Stato democratico". Chiaro il riferimento al tiro alla fune tra le sezioni immigrazione dei tribunali e il governo sul patto fra Italia e Albania per i riconoscimenti extraterritoriali dei migranti. Con la levata di scudi delle toghe e la richiesta di intervenire alla Corte di Giustizia europea contro il "decreto Paesi sicuri" approvato dal centrodestra per scavalcare l’ostacolo e far ripartire i trasferimenti in Albania.
Insomma, toghe "di parte" avvisate, ma sul contenuto del decreto insorge l’opposizione con Deborah Serracchiani (Pd) che va giù dura: "L’attacco alla magistratura è il primo tassello che viene posto quando si vuole arrivare al potere assoluto, perché ci sono magistrati che si permettono di dire che l’esecutivo fa delle leggi che non sono attuabili; nel nuovo decreto si prevede che il magistrato non possa esprimere la sua opinione". Dopo il varo, lunedì, sono previste altre proteste, ma intanto il governo va avanti.