Roma, 5 agosto 2024 – Per Michela Ponzani, 46 anni, docente di Storia contemporanea a Roma Tor Vergata, la memoria delle stragi italiane – da quelle nazifasciste del 1943-45 a quelle degli anni Settanta-Ottanta al culmine della strategia della tensione – pongono una sfida al Paese e a chi lo guida: "Fare tesoro dell’immenso lavoro degli storici, che operano su documenti e atti, e rinunciare a ogni tentativo di depotenziarne la lettura".
La "matrice nazifascista" può essere "attribuita secondo sentenze", come fanno la premier Giorgia Meloni e il presidente del Senato Ignazio La Russa?
"No, perché le sentenze stabiliscono una verità processuale, e la verità si accerta – mica si attribuisce. Il senso delle istituzioni dovrebbe evitare sgrammaticature così evidenti, come anche gli attacchi ai familiari delle vittime".
Si riferisce al comunicato di Palazzo Chigi contro Paolo Bolognesi, presidente del Comitato Vittime della strage di Bologna?
"I collegamenti degli esecutori della strage di Bologna – e degli altri attentati neri – al Movimento sociale sono noti. Avanguardia nazionale e Ordine nuovo non stavano su un altro pianeta. Non a caso, nel 1969, fu Almirante a invitare al congresso del partito gli ordinovisti di Pino Rauti".
Ma i vertici attuali di Fratelli d’Italia, Meloni in testa, sventolano la carta di identità e dicono: "Noi non eravamo nati".
"E proprio perché non erano nati avrebbero tutto l’interesse a fare i conti con la realtà, anziché seminare dubbi o, peggio, contestare i comitati. Dire a Bolognesi che le sue parole mettono in pericolo “l’incolumità personale“ di chi è “democraticamente eletto“ è un ingeneroso rovesciamento di prospettiva. Perché se la magistratura è arrivata a sentenza per le stragi degli anni Settanta è anche grazie alla tenacia di familiari e comitati".
Come se ne esce?
"Con il rigore istituzionale del presidente Mattarella che, anche per i morti dell’Italicus, ribadisce la “catena sanguinosa della stagione stragista dell’estrema destra italiana“ e la “matrice neofascista“ sottolineata da “Cassazione“ e “Commissione di inchiesta sulla P2“. Perché in assenza di nuovi atti, la storia non può essere riletta a piacimento".
La politica prova sempre a rileggere la storia...
"C’è una lunga tradizione non certo esclusiva di questo governo".
Si riferisce alle stragi del 1943-45, sviscerate nei tribunali solo dopo decenni?
"Con il consenso americano, c’era un accordo preciso tra Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, perché quelle pagine di storia restassero chiuse. Una visione distorta della pacificazione nazionale intendeva barattare la mancata ricerca dei criminali di guerra tedeschi con la mancata ricerca di quelli italiani. Tutto questo mentre la Germania federale diventava centrale nella Nato. L’Italia non voleva processare gli ufficiali nazisti anche per seppellire in silenzio le vergogne nazionali. È solo un esempio, ma il maresciallo Pietro Badoglio, l’uomo dell’8 settembre, per l’Onu era un criminale di guerra: per i massacri del 1936-37 in Etiopia a base di armi chimiche".
La svolta?
"Può essere simbolizzata dal cosiddetto ’armadio della vergogna’ nascosto per decenni dalla procura militare di Roma. Quel fortunato ritrovamento avvia una stagione di necessaria verità, anche per la sovrapposizione geografica – in Toscana e in Emilia – tra i due ambiti di sangue: quello bellico e quello della strategia della tensione".
La saldatura è così evidente?
"Quando Amintore Fanfani e Mariano Rumor nel 1974 arrivano a San Benedetto Val di Sambro dopo l’attentato dell’Italicus sono contestati e devono andarsene. Marzabotto dista solo una trentina di chilometri. Quei dolori e quei ricordi si compenetrano, e nella visione popolare la Dc appare come responsabile oggettiva di questa tenebrosa vigliaccheria di ritorno, come minimo per omesso controllo, in un mondo bipolare dove l’anomalia italiana del Partito comunista oltre il 30% dei voti alimenta l’eversione nera".
Come capitalizzare una storia così tragica?
"Rispettandola senza travisarla. Gli italiani hanno sconfitto il terrorismo di destra e sinistra. Il Paese, così maturo in quegli anni, oggi deve trasferire verità e valori alle nuove generazioni anagraficamente lontane dagli eventi. È questa la sfida. E non fare sconti ai fatti è l’unico modo per vincerla".