"La Sardegna risponde con le matite ai manganelli", sostiene la neogovernatrice Alessandra Todde. Una vittoria, quella alle elezioni regionali in Sardegna, che è largamente sua. Senza che ancora le ultime 19 sezioni (su 1.844) siano state aggregate al conteggio della Regione, Todde batte Truzzu di neanche tremila voti: 331mila a 328,5 mila; 45,4% a 45%. Quasi un’inezia. Ma che scava un baratro. Nell’epoca dell’eterno (e smemorato) presente, tanto basta scatenare gli entusiasmi dei fautori del campo largo: Pd e 5stelle in primis, che fino alla settimana scorsa non finivano di recapitarsi risentiti inviti a deporre le polemiche, punzecchiandosi sulle alleanze e schiaffeggiandosi su pace e guerra.
Ma "l’aria è cambiata", si compiacciono adesso Schlein e Conte. Così cambiata che i partiti del campo largo languono ancor più sotto quelli del centrodestra di quanto non fosse alle politiche del 2022: quando, rispetto al 40,5% del centrodestra, il centrosinistra aveva il 27% e i 5stelle il 21,8; salvo essere divisi. Ma Todde tutto questo l’ha spazzato via. Con 40mila voti più dei partiti della coalizione, e grazie al voto disgiunto che nel centrodestra ha punito Truzzu, l’ex viceministra allo sviluppo economico dei governi Conte e Draghi ha confermato per un soffio la tradizionale propensione sarda per l’alternanza al governo regionale; visto che dal 1994 tutti gli amministratori son stati sconfitti nelle urne.
Considerare il voto sardo un modello, quindi, sarebbe appena esagerato. Semmai "un esempio", chiosa il senatore dem Walter Verini. Esempio del fatto che al Pd non conviene incaponirsi su candidature aziendali, prediligendo quelle unitarie e soprattutto migliori, e che il tema di lavoro per il centrosinistra è "la fatica dell’unità". Quell’unità che, da carattere dominante nella genetica gramsciana della sinistra, quando si dimostra vincente diventa un mantra. "Adesso si continua, testardamente unitari, perché uniti si vince", salmodia Schlein.
Così sarà in Abruzzo, dove si vota a marzo e anche il leader di Azione, Carlo Calenda, si è aggregato alla partita, persuaso dal voto sardo che "non è fattibile" sostenere terze posizioni nelle elezioni regionali e comunali. Azione si è associata al centrosinistra ad ampio spettro che sostiene l’ex rettore dell’università di Teramo Luciano D’Amico, indipendente di area dem. Anche se "non a tutti i costi", Calenda si è convinto della necessità di ragionare con Conte perlomeno a livello locale: "Dove non c’è in gioco la politica estera bisogna cercare un accordo ampio altrimenti non si è in partita". Altra storia ovviamente per Europee: "Sono le nostre elezioni – sostiene il leader di Azione –. Nessun partito è europeista, atlantista e attento allo sviluppo come il nostro". E Matteo Renzi è ancor più convinto di poter beneficiare alle Europee degli spazi aperti dal bipolarismo che solitamente lo schiaccia.
Nel successo sardo il Pd ottiene il primo posto col 13,8% e alcune liste locali i cui voti potrebbero rientrare alle Europee. I 5stelle scendono al 7,8%, ma le civiche di Todde incassano un altro 7. Tutti numeri da considerare per le Europee. Mentre la possibilità che il successo isolano apra la strada a intese anche in Basilicata e soprattutto Piemonte non è affatto scontata. Il Pd vorrebbe veder risarcita la propria generosità. Ma per Conte, che gioca la propria partita per la leadership, le candidature unitarie sono quelle 5stelle o indipendenti, non targate dem.