Sergio Mattarella e Giorgia Meloni scelgono con attenzione le parole. Per fissare lo stesso concetto. Nella notte in cui la Russia, da paese invasore dell’Ucraina, riscopre la piaga antica del terrorismo, i paesi occidentali offrono solidarietà. Senza condizioni. Senza distinguo. Com’è giusto che sia. "Il crudele attentato terroristico consumato a Mosca invoca la più ferma condanna. Orrore ed esecrazione debbono accompagnare la violenza contro tutte le innocenti vittime civili. Combattere ogni forma di terrorismo deve essere un impegno comune a tutta la comunità internazionale", dichiara il Presidente della Repubblica. Sulla stessa linea la presidente del Consiglio: "L’orrore del massacro di civili innocenti a Mosca è inaccettabile. Ferma e totale condanna del Governo italiano a questo efferato atto di terrorismo. Esprimo la piena solidarietà alle persone colpite e ai familiari delle vittime".
Si chiude così, nel sangue e tra le fiamme dell’attentato moscovita, una giornata iniziata in modo molto diverso, con la foto dei leader dei 27 riuniti a Bruxelles per il Consiglio europeo. Giorgia Meloni si spende su tutti i dossier. Incontra Macron. Bacchetta Orban. Sostiene Zelensky. Autopromuove l’Italia e il ruolo che sta provando a ritagliarsi nella tante partite in corso a 75 giorni dal voto. Il rapido vis-à-vis con il presidente francese avviene a margine dei lavori. Dopo protagonismi e frizioni – culminati nelle settimane precedenti con iniziative separate sullo sfondo della crisi ucraina – il quadro collaborativo sembra ricomporsi. Le fonti italiane accreditano "convergenza" su molti temi: Ucraina, Medio Oriente (con la "ritrovata unità" dei 27), agricoltura (grazie al doppio impulso italo-francese), difesa europea soprattutto. Zelensky chiede armi. E alla luce del "drammatico incremento degli attacchi russi contro la popolazione civile", la dialettica Roma-Parigi conferma "il valore fondamentale dell’unità e della determinazione dell’Unione, in coordinamento con i partner G7, nel sostegno alla resistenza ucraina" per arrivare a una "pace giusta".
Naturalmente la Ue deve fare passi avanti sulla difesa comune e la presidente del Consiglio concorda "con l’iniziativa della Commissione di rafforzare l’industria della difesa". Per ora bisogna fare i conti con le risorse a disposizione". Logica la delusione di Kiev per rifornimenti sotto misura – specie in relazione alla rigenerata potenza di fuoco russa –, "però davvero ce la stiamo mettendo tutta", continua la premier. Invitando implicitamente i colleghi a non alzare i toni.
Clima di guerra? "Non è quello che ho visto – è l’assicurazione –. Certo siamo in un conflitto e nessuno affronta le questioni con leggerezza" ma, per fortuna, non c’è un’atmosfera da "mettiamoci l’elmetto in testa per combattere". Forse una risposta indiretta a Macron e alla sua proposta di inviare truppe? Per aumentare i budget della difesa, l’Italia – in questo ragionamento allineata alla Francia – è favorevole alla proposta di Eurobond. Invece la Germania ostenta freddezza. Il nodo delle risorse da affiancare al miliardo e mezzo già assicurato nel contesto della revisione del Qfp (Quadro finanziario pluriennale) resta così irrisolto, ma il voto dei 27 sostiene "tutti gli sforzi possibili" in atto e quelli in preparazione. "L’accordo sull’European Peace Facility non era facile, ma in ogni Consiglio Europeo si fanno passi avanti", è il primo esempio fatto dalla premier. L’attentato di Mosca configura uno scenario in evoluzione.
È il momento di serrare i ranghi, non di iniziative unilaterali. Il presidente ungherese Viktor Orban e le sue congratulazioni a Vladimir Putin per la rielezione al Cremlino rappresentano un problema. "Non condivido quella lettera e quegli auguri", è il giudizio della leader di Fratelli d’Italia e presidente del gruppo Ecr (i conservatori e riformisti europei). Orban vorrebbe trasmigrare nell’Ecr a giugno ma i polacchi non vogliono vederlo neppure dipinto. La gaffe con Mosca taglia la testa al toro? "Adesso non è un dibattito all’ordine del giorno", è la risposta della premier, in cui la parola "adesso" sembra rinviare la scelta a scrutinio ultimato. Come del resto quasi tutte le altre. Incluso l’appoggio – o meno – al contrastato bis di Ursula von der Leyen. Il quadro globale resta difficile. E variabili impreviste, come quella di ieri, possono renderlo ancora più fragile.