Giovedì 26 Settembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

La premier attacca la sinistra: "Usa toni da guerra civile". Scontro con Schlein sulle riforme

Video social di Meloni all’indomani dei risultati delle comunali. "Mi vogliono massacrata, a testa in giù". E provoca: Occhetto era più avanti del Pd. La segretaria dem: "Che film ha visto? Le brucia la sconfitta".

La premier attacca la sinistra: "Usa toni da guerra civile". Scontro con Schlein sulle riforme

La premier attacca la sinistra: "Usa toni da guerra civile". Scontro con Schlein sulle riforme

È uno schema fisso, questione di carattere. Quando si trova in difficoltà Giorgia Meloni attacca. Lo ha fatto anche ieri e con tale nervosismo che è fin troppo facile ironizzare sulle sue ultime parole: "Andremo avanti con il sorriso, senza farci intimorire, sempre e solo nell’interesse della Nazione". Dopo una sconfitta elettorale negata ma innegabile, la premier affida la controffensiva a un video-messaggio sui social: scarno, senza ambientazione istituzionale solo un tricolore alle spalle, poco curato nella regia. Di voto amministrativo preferisce non parlare, anche se trapela la sua irritazione soprattutto per il risultato di Perugia – una brutta batosta, dopo dieci anni di governo del centrodestra – che adombra una pesante ipoteca sulle imminenti regionali in Umbria. L’intervento è una difesa totale delle riforme dell’esecutivo – dal fisco alla giustizia –, ma il grosso dei 14 minuti Giorgia lo impiega per un’arringa a tutela dell’Autonomia differenziata. Per il resto, si scaglia contro l’opposizione con una durezza sin qui raramente adoperata. "Usa toni irresponsabili da guerra civile", scandisce. Naturalmente, Elly Schlein, leader in pectore del centrosinistra, non gliele manda a dire: "Non so che film abbia visto, le brucia la sconfitta".

La difesa della riforma di Calderoli è efficace finché Meloni ricorda le numerose corresponsabilità del centrosinistra: "Si tratta della sin qui rinviata attuazione della riforma del titolo V della Costituzione", "imposta a maggioranza dal governo Amato nel 2001", una riforma "preparata dal governo di Romano Prodi" e proseguita "col governo di Massimo D’Alema". Ancora: "A reclamare l’approvazione sono stati non solo i governatori di destra ma anche quelli di centrosinistra, da Bonaccini a De Luca, che oggi si straccia le vesti contro il nostro provvedimento". Molto meno incisiva la spiegazione sui motivi della riforma stessa. In sostanza, la presidente del Consiglio non va oltre la richiesta di rinviare il giudizio: "È una cornice, non si può giudicare finché non si definirà il percorso nei prossimi anni". Ma al di là del merito, il senso del messaggio è evidente: Giorgia Meloni teme l’Autonomia un po’ per il contraccolpo elettorale, soprattutto nel Meridione e molto per gli effetti controproducenti che potrebbe avere sulla partita che davvero le sta a cuore, quella del premierato. Tanto più se il presidente della Repubblica, che aspetta di esaminare il testo ancora all’attenzione degli uffici legislativi e non si pronuncerà fino alla metà di luglio, dovesse decidere di intervenire in qualche modo rinviando alcuni articoli o accompagnando la firma con un messaggio.

Dunque, la premier si rende conto di doverci mettere la faccia per salvarla, facendosi testimonial di una legge considerata finora solo leghista. Chiama il suo elettorato alla guerra contro un’opposizione descritta con toni apocalittici: "Una parlamentare del M5s ha evocato per noi piazzale Loreto; dovrei essere massacrata e appesa a testa in giù. Le parole e i modi violenti che usa la sinistra sulle riforme non sono altro che una difesa disperata dello status quo". E poi, getta contro il Nazareno un pezzo di storia post-comunista: "Sul premierato ci accusano di deriva autoritaria, ma lo voleva Occhetto 30 anni fa. Lui era più avanti della Schlein".

Chiamata in causa, la segretaria del Pd, che dalla prova elettorale è uscita vincitrice, ha gioco facile per replicare: "Capisco che debba stornare l’attenzione dalla sconfitta, ma non si riferisca a noi". Glissa su Occhetto: "Meloni mi sembra a corto di argomenti". È galvanizzata: "Abituiamoci a fare l’analisi delle vittorie perché stiamo proprio arrivando". E boccia senz’appello la proposta, rilanciata lunedì dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, di abrogare il ballottaggio per l’elezione dei sindaci abbassando dal 50% al 40% la soglia per evitare il secondo turno. "Manca di senso delle istituzioni. Non è che quando si perde si aboliscono le elezioni, non si scappa con il pallone in mano". Di quell’idea Meloni non ha parlato, ma dentro FdI – come nel resto della maggioranza – sono tutti d’accordo con La Russa.

Forse lui è stato intempestivo: la sera della sconfitta non è il momento migliore per proporre di cambiare le regole, ma il progetto è reale, e la destra cercherà di procedere in autunno.