Su il sipario: va in scena in Parlamento il dibattito che precede il Consiglio europeo. Dall’immigrazione al Libano, passando per l’Ucraina, il caso Fitto e il Green Deal, premier e leader del centrosinistra se le danno di santa ragione. Il confronto pre-vertici internazionali è oramai un rituale fisso che cammina sempre nella stessa direzione. È soprattutto teatro, basti pensare che la minoranza squaderna 5 mozioni al Senato, e sei alla Camera. Un’eccezione stavolta però nel passaggio alle Camere alla vigilia del summit di Bruxelles c’è: il sostegno a Raffaele Fitto come commissario e vicepresidente esecutivo della Commissione europea.
Giorgia Meloni non mira solo a magnificare i suoi mirabolanti risultati e a mettere in torbida luce l’opposizione. Vuole smuovere il Pd. "Proprio lui, in rappresentanza di FdI si espresse per Paolo Gentiloni nel 2019, e il gruppo Ecr si schierò in suo favore", spiega. Il voto dell’Europarlamento sul ministro degli Affari europei è a rischio per colpa del Pse. Per questo "in nome dell’interesse nazionale" e sotto la minaccia di passare per quinte colonne nemiche, esorta il Pd a convincere i compagni socialisti a ripensarci e appoggiare il commissario italiano. "Spero che Elly Schlein su questo metta una parola definitiva. Spero che il Pd voglia farsi sentire con il Pse, visto che ha la delegazione più numerosa". La segreteria democratica non abbocca: "Valuteremo attentamente le audizioni di tutti i commissari, Fitto compreso. Ma non pensi di salire in cattedra a dare delle lezioni, perché lei chiamò la piazza contro Gentiloni". Probabilmente il Pd esprimerà il sospirato voto, troppo alto il rischio di passare per traditori, del resto qualche ora prima, l’ aveva anticipato al Senato Alessandro Alfieri: "Faremo gli interessi dell’Italia". Ma da qui a darsi da fare perché tutto il Pse appoggi Fitto ce ne passa, ed Elly vuole mantenere le mani libere, quindi glissa.
Più rilassato il volto della premier quando parla di immigrazione: si presenta con carte vincenti in tasca. Il nodo è l’Albania e l’accusa corale è quella di sprecare soldi con un protocollo che non servirà a niente e che, di sfuggita, rischia di ledere i diritti umani. "Si configura come danno erariale – replica Giorgia all’accusa di Piero De Luca, riferendosi al padre, il governatore campano Vincenzo – il fatto che un presidente di regione spenda migliaia di euro per comprarsi una pagina di giornale e dirsi quanto è bravo". Sfodera la lettera entusiasta di Ursula von der Leyen, ricorda che il modello italiano "lo vogliono seguire anche altri Stati". Insomma, di cosa stiamo parlando?
Già che c’è, si lancia in un affondo violentissimo contro la Sea Watch: "Considero vergognoso che definisca le guardie costiere i veri trafficanti di uomini, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del Nord Africa e magari anche quella italiana. Sono dichiarazioni indegne che gettano la maschera sul ruolo e sulle responsabilità di chi finanzia certe ong". Irritazione generale: "Ha fatto un attacco da bulla a Sea Watch, attaccando chi salva le vite in mare", punta il dito Elly Schlein. Scintille anche sul Libano, dove Meloni andrà venerdì (e forse poi in Giordania).
Conte alla Camera si prende una rivincita sul liscio e busso al quale Giorgia aveva sottoposto la sua senatrice Bevilacqua: "Il giorno che mi faccio spiegare cosa ho detto da un esponente del Movimento Cinquestelle mi dimetto". Il leader pentastellato, con toni da comizio d’epoca, carica su tutto, ma si concentra sul Medio Oriente: "Siete complici delle scelte criminali di Netanyahu". Tutta l’opposizione richiama la sospensione della fornitura delle armi: "Il governo ha sospeso la concessione di ogni nuova esportazione di armamenti verso Israele – replica Meloni – i contratti firmati dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione". Molto dura sull’attacco israeliano ad Unifil: "È del tutto ingiustificato", scandisce. Ma la distanza non si limita alla cessione di armi, ed è più profonda di quanto non appaia. A destra la simpatia e, anzi, quasi l’empatia con Israele è palese.
Per la prima volta, Meloni si scaglia contro il Green Deal, cioè sul nodo che dopo l’immigrazione è quello che più di ogni altro gonfia le vele delle destre in tutto l’Occidente: "La decarbonizzazione a prezzo della deindustrializzazione è un suicidio: non c’è nulla di verde in un deserto". Uno sguardo all’Ucraina: "Non abbandoneremo mai Kiev". E la rappresentazione chiude i battenti.