Appesi all’account Instagram della dottoressa Maria Rosaria Boccia, ogni 24 ore - durata in vita di una insta-storia - arrivano aggiornamenti sul romanzo politico di fine estate. Quello fra il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e la sua presunta collaboratrice, il cui effettivo mestiere peraltro è tutt’ora sconosciuto. Di sicuro è abile con i social. Spin doctor di sé stessa, tiene in scacco l’esecutivo mentre il mondo attorno va in fiamme.
Capace di oscurare, persino, la possibile nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente della Commissione Europea con la delega pesante all’economia. La dottoressa Boccia è una evoluzione del collaboratore (ancorché presunto) che inguaia il capo. I complottisti s’immaginano già che la signora di Pompei non agisca da sola, vista la propensione a filmare tutto, persino con gli occhiali-telecamera di Ray-Ban, per documentare e archiviare e, al momento opportuno, esibire. La dottoressa al momento sembra muoversi in solitaria, smentisce tutto ciò che c’è da smentire, armata di social, dove niente passa inosservato e impunito.
Che mestiere usurante, quello del collaboratore. Figurarsi quando emerge, per dirla con Sangiuliano, "un’identità di vedute", come con Boccia. Certe vedute però si rivelano una pietra d’inciampo, soprattutto quando è sulla lotta all’amichettismo che si fonda una certa retorica politica. L’ex portavoce di Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli, fu costretto a dimettersi per via di alcune sue frasi, con insulti razzisti e antisemiti, scritti in una chat e rese pubbliche da Repubblica. Aveva forse meno armi per difendersi, Signorelli, che forse non voleva parlare da ’uomo ferito’ (cit. Marco Ferradini) e lasciò l’incarico.
Da una parte, nel caso Boccia, i viaggi e le cene pagate non si sa bene da chi, dall’altro il riflesso condizionato di un pezzo della destra italiana che non riesce ad abbandonare i propri fardelli ideologici. Sempre di sentimenti si tratta. Il ministro Lollobrigida, già cognato della presidente del Consiglio, si salvò dalle dimissioni. E per ora si salva pure Sangiuliano, i cui rapporti personali con la dottoressa Boccia non sono interessanti finché non si sovrappongono con l’interesse pubblico, che non è quello del pubblico (è stata o non è stata nominata dal ministero? È stato usato o no denaro pubblico? Domande che ci facciamo). La presidente del Consiglio Giorgia Meloni si vantò, con una certa durezza, quando Silvio Berlusconi era ancora in vita, di non essere ’ricattabile’ da nessuno, a differenza - va da sé - proprio del Cav.
In passato, ci sono stati governi ricattabili per i motivi più vari, tra i casi delle Olgettine, Patrizia D’Addario, Giampi Tarantini e la “nipote di Mubarak” (Ruby). Lo sputtanamento passava sui giornali tra fonti, carte di inchiesta, dichiarazioni, interviste. In questo caso - il caso di una presunta collaboratrice che inguaia il capo, ripetiamo - sono i social a fare la differenza. La dottoressa Boccia è come quel citizen journalist che su Twitter pubblica uno scoop superando i giornali tradizionali, come uno youtuber che divulga documenti riservati in un video battendo le televisioni.
Per un politico essere ricattabili è assai pericoloso. Ci sono due modi per diventare ricattabili. Uno è quando il collaboratore in questione applica minacce concrete, come la diffusione di documenti e contenuti di incontri privati, l’altro è quando la sua stessa presenza - per via di un fattaccio più o meno personale - diventa rischiosa per il ruolo dello stesso politico che ne è a capo; ne sa qualcosa Matteo Salvini, che nel 2021 dovette confrontarsi con il caso di Luca Morisi, allora plenipotenziario spin doctor della comunicazione online leghista, autore del successo sui social di Salvini, che si dimise per via di un’inchiesta per droga (poi la sua posizione è stata archiviata).
Non proprio il massimo per uno come il leader della Lega, che sulle droghe ha sempre avuto posizioni molto dure e nette. Vatti a fidare degli amici, e dei collaboratori.