
La premier: "Reazione scomposta". Nuova protesta dell’opposizione in Senato. E intanto la maggioranza annuncia un esposto sulle manifestazione pro Ue.
"Non ho insultato nessuno. Sono rimasta sconvolta dalla reazione vista in Aula, penso che quella della sinistra sia stata una reazione totalmente scomposta. Ho visto una sinistra illiberale, nostalgica". La premier Giorgia Meloni conclude così, a margine dei lavori del Consiglio europeo, una giornata di strascichi riguardo la sua presa di distanza dal testo del Manifesto di Ventotene. Dicendosi semmai lei quella insultata, Meloni conferma di aver sin troppo mal digerito la parata di intellighenzia e mondo dello spettacolo europeisti portata in scena sabato scorso in piazza del Popolo a Roma, dove era stato distribuito anche il Manifesto firmato Spinelli, Rossi e Colorni che la premier ha reso popolare come forse non era mai stato.
Che il Manifesto sia ostico per la premier lo dice la profonda avversione a ogni residuo nazionalismo che lo ispira. Ma sono le evocazioni del soggetto rivoluzionario europeo a essere finite nel mirino di Meloni. Che, contestando che l’essenza dei passaggi citati è "che il popolo non è in grado di autodeterminarsi", si chiede perciò "che messaggio voleva dare la sinistra" distribuendolo. La questione, del resto, ha continuato a tenere banco nel corso della giornata di ieri a partire dal Senato, dove gli esponenti dell’opposizione hanno manifestato il loro disappunto per lo show che si è svolto mercoledì a Montecitorio. Alle accuse di Raffaella Paita per Italia viva ha replicato il leghista Claudio Borghi esecrando il carattere antidemocratico del Manifesto. Ma il clou lo hanno dato Matteo Renzi e la presidente di turno azzurra Licia Ronzulli quando si è detta eufemisticamente disinteressata all’opinione del senatore fiorentino.
Rafforzata da polemica secondaria sulle spese della piazza europeista sostenute dall’Anci (ma a Roma c’erano anche sindaci di centrodestra), la cortina mediatica sul caso Ventotene induce l’opposizione a sospettare si sia trattato di provocazione organizzata ad arte; anche perché alcuni giornalisti suffragano questa versione attribuendola alla premier durante la cena con gli europarlamentari di mercoledì. Ricostruzioni seccamente smentite da Palazzo Chigi. Che Meloni non abbia ordito un disegno e abbia parlato sinceramente stizzita nei riguardi della manifestazione europeista e il Manifesto, del resto, lo conferma il fatto che mai e poi mai avrebbe scelto un argomento tale da metterla in rotta di collisione col Quirinale, che ha già dato prova di considerare il testo un fondamento europeo con la sua visita a Ventotene. Difatti Sergio Mattarella non ha per niente gradito la polemica che ha chiamato in causa anche la presidente del Parlamento europeo, la popolare Roberta Metsola, a difesa di Per un’Europa libera e unita.
Questioni rimaste oscurate, certo, ce ne sono eccome. A cominciare dall’avvertimento da parte del vicepremier leghista Matteo Salvini che la presidente del Consiglio non avrebbe il mandato per avvalorare il piano ReArm in corso di rinomina. Il ministro delle Infrastrutture ribadisce le proprie riserve sugli 800 miliardi di spese militari e anche sulla difesa comune, specie se ci fossero di mezzo i francesi. Replicano a stretto giro il ministro Adolfo Urso e l’altro vicepremier e ministro degli Esteri Antoni Tajani – approfittando per prendere le parti della difesa comune e di Alcide De Gasperi insieme – che il mandato Meloni ce l’ha eccome grazie al voto del Parlamento; anche se nella mozione la questione è stata elusa a dir poco. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, del resto, osserva che riarmo e difesa comune sono traguardi inevitabili. Questo è. Con l’Italia preoccupata specialmente del pericolo di scavare altro debito. Per questo la premier chiede più incentivi ai privati e debito europeo.