
L’eurodeputato, Stefano Bonaccini, 58 anni, con l’ex premier Paolo Gentiloni, 70 anni
Roma, 16 febbraio 2025 – Tempus fugit. E siccome la legislatura si avvicina in fretta al giro di boa di marzo, nell’opposizione e soprattutto nel Pd si cominciano ad affilare le armi in vista della prossima tornata elettorale. È cominciata, cioè, la lotta di posizionamento interna e tra i partiti in vista della sfida, al momento in salita a dir poco, al governo di Giorgia Meloni. Che è innanzitutto una sfida sul modello di coalizione e sul ruolo più o meno egemone del Pd. Ovvero sul centro-sinistra col trattino o senza. Ma anche sulla formazione delle liste dei partiti, come dimostra l’avvicendamento alla guida della minoranza dem di Energia popolare tra Stefano Bonaccini e Alessandro Alfieri.
Non è un caso che la segretaria dem Elly Schlein stia infittendo l’agenda delle uscite pubbliche del fine settimana che non l’hanno mai vista troppo presenzialista. Ieri, invece, la leader ha rilanciato da Firenze l’agenda sociale del Pd. A cominciare dalla vexata quaestio della tassazione delle rendite, che per Schlein "non è un tabù", per continuare con la difesa del sistema sanitario pubblico universalistico, in relazione al quale la segretaria rilancia l’ennesimo progetto di coperture finanziarie comune delle opposizioni.
Schlein, che sulla scorta dei risultati elettorali non potrebbe essere più salda alla guida del Pd, comincia tuttavia a rendersi probabilmente conto della necessità di esercitare la leadership anche su tutto lo schieramento. Il che non è affatto scontato. Specie dopo Romano Prodi, che se ne intende, hanno sancito il fallimento del progetto del Pd e rilanciato l’idea di un centro-sinistra col trattino e con l’ex direttore dell’agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini alla guida della federazione moderata, con l’aspirazione di prendere quella dell’intero schieramento.
Uno schema ulivista piuttosto anacronistico. Come lo è a maggior ragione la desistenza, proposta da Dario Franceschini per accontentare soprattutto le velleità pentastellate in declino di consenso. Anche perché il partito della premier e l’entourage di Schlein guardano di buon grado a una riforma dell’attuale legge elettorale in senso ulteriormente bipolarista e favorevole alle liste bloccate, lasciando perciò alle segreterie di partito la selezione delle rappresentanze in un Parlamento la cui potestà legislativa è oggettivamente sempre più esautorata da quella del governo. Al netto del fatto che con la legge attuale il centrodestra rimane avvantaggiato.
Legge elettorale, coalizione alternativa alla destra, difesa della rappresentanza politica e parlamentare delle componenti: ecco dunque la partita intorno a cui si giocano i destini del Pd e dell’opposizione. Non è un caso che Energia popolare abbia deciso l’avvicendamento al vertice tra Bonaccini e Alfieri. Ufficialmente il senatore lombardo è in grado di coordinare meglio parlamentari e territori da Roma. In realtà l’ex governatore emiliano-romagnolo e eurodeputato dopo la sconfitta ha ripetuto troppo segnali di accondiscendenza verso la segretaria. Tanto che le voci più irrequiete della minoranza riformista lo vorrebbero silurare addirittura dalla presidenza del partito per sostituirlo nientemeno con Paolo Gentiloni. Preferito da alcuni (ma sempre meno) come candidato premier al posto di Schlein, l’ex premier e commissario europeo non ci pensa neanche a entrare in campo nelle beghe interne del Pd, in cui per altro la minoranza non vuole coinvolgerlo, dato che è considerato la miglior riserva per la Repubblica nella peregrina eventualità che la prossima legislatura consentisse di eleggere un presidente di area moderata di centrosinistra per la successione a Sergio Mattarella.