Nessun brivido, nessuna sorpresa. La terza manovra dell’era Meloni ieri è diventata legge, ma quella del Senato era una ratifica burocratica. Nessuna possibilità di modifica, si trattava solo di pigiare un pulsante ed è andata più o meno così: fiducia al governo confermata con 112 sì, 67 no e un astenuto, approvazione definitiva con 108 voti a favore, 63 contrari e un astenuto. Il coro con cui la maggioranza saluta il varo è quello di sempre: a dare il via la premier che, assente dall’aula, considera la finanziaria da 30 miliardi "una manovra di grande equilibrio, un passo avanti per un’Italia più forte e più giusta". Più contenuto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, esalta "l’atteggiamento di prudenza" di un esecutivo che, con "gli oneri del Superbonus e 90 miliardi di interessi passivi non può permettersi di essere avventato o temerario". Spiega: il filo conduttore che lega le leggi di bilancio da lui firmate è "tagli agli sprechi e aiuti ai più bisognosi". Gli altri si uniformano. Non si scosta dalla sceneggiatura nota neppure l’opposizione, che contesta la blindatura del testo: "È una manovra senza respiro, certifica l’incoerenza di Giorgia Meloni", attacca Elly Schlein, mentre Giuseppe Conte parla di "un pugno nello stomaco di chi non ce la fa".
L’unico a dare spettacolo è Matteo Renzi. Inviperito per la norma che lo costringe a scegliere tra il seggio a Palazzo Madama e le conferenze retribuite all’estero, ingaggia un corpo a corpo con il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Prima l’accusa di non richiamare "una maggioranza rumorosa" mentre lui parla. "Non c’è nessun brusio particolare, prosegua senza dare lezioni", replica La Russa. "Non mi può interrompere in diretta televisiva – insorge Renzi – deve abituarsi, camerata La Russa, a rispettare l’opposizione". E lei – rilancia il dirigente FdI "non deve sfuggire la verità". Il Matteo toscano forse a questo punto si fa prendere dalla foga: "Il fatto che non avverta i rumori è tipico di una età incipiente che va avanti". Sui social, infatti, insiste solo sul termine camerata: "Non solo mi ha zittito, ma non ha reagito quando l’ho definito camerata". Contro-controreplica La Russa: "Dispiace che anzichè scusarsi, menta".
Che poi sul merito della norma, quasi tutta la maggioranza è d’accordo con il leader di Iv, anche se in aula lo dice solo il capogruppo leghista Massimiliano Romeo: "Renzi non ha tutti i torti, per usare un eufemismo". Tra gli azzurri e persino dentro FdI il parere è condiviso, tanto che Renzi indica solo nelle sorelle Meloni le cospiratrici. "L’hanno voluta Giorgia ed Arianna Meloni per colpirmi". Romeo però non si limita ad attaccare il governo su questo caso: indica anche ciò che Palazzo Chigi non ha fatto e lui si attende farà nel 2025. Parte dal federalismo fiscale e dai Lep, per arrivare a chiedere all’esecutivo di prendere le distanze "dalle leadership europee più bellicose" sull’Ucraina: "Diamo piuttosto più armi alle nostre imprese per essere competitive sui mercati". La minoranza si esalta per i dissapori: il capo dei deputati del Pd, Francesco Boccia, invita addirittura "a fare posto a Romeo fra i banchi dell’opposizione". Il leghista minimizza: "Sono provocazioni. Certe cose le abbiamo sempre dette". Non ha torto, ma è altrettanto vero che i motivi di frizioni tra il Carroccio e la premier si accumulano. C’è la manovra, appunto, dove la Lega è rimasta a bocca asciutta. C’è l’eterna Ucraina, con il decimo decreto aiuti che il Parlamento dovrà votare tra gennaio e febbraio. C’è il rimpasto: Salvini ci spera, la premier non lo vuole. Soprattutto ci sono l’Autonomia differenziata e il Veneto. Se la riforma leghista dovesse – tra Consulta e referendum – finire in fondo al mare, i problemi nella maggioranza sarebbero inevitabili, come ha già profetizzato Roberto Calderoli. Infine, il terzo mandato: il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari conferma che il governo è "intenzionato a impugnare la legge regionale campana" che consente al governatore De Luca di ricandidarsi per la terza volta, bloccando così la strada alla quarta candidatura di Zaia in Veneto. Per la Lega sarebbe uno schiaffone sonoro. Insomma, ora l’entusiasmo dell’opposizione è infondato, ma non è detto che non sia, invece, solo prematuro.