Lunedì 4 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Politica

La linea Meloni: un governo politico. E vuole La Russa alla guida del Senato

Domani si vota. Salvini spera ancora di riuscire a imporre Calderoli. Il caso Ronzulli: forse andrà al Turismo

La Russa

La Russa

Roma, 12 ottobre 2022 - Ancora 24 ore e il lavoro di Giorgia Meloni delle ultime settimane dovrà concretizzarsi. Trasformarsi in nomi e posti, dai quali dipenderanno non solo i rapporti di forza tra i partiti della maggioranza ma il dna del governo. Domani si riuniscono per la prima volta le Camere, gli occhi sono puntati su Palazzo Madama: la leader di FdI vuole che il presidente sia eletto già alla prima votazione, il centrodestra ha i numeri per farlo e un fallimento sarebbe un segnale di debolezza. Nella sua testa il nome del prossimo presidente si staglia nitidamente: Ignazio La Russa. Ma il Carroccio si mette in mezzo, punta i piedi insiste per Calderoli, rovesciando la ripartizione che vedrebbe un esponente di FdI al Senato, e un leghista (Riccardo Molinari in pole position) alla Camera, dove il quorum richiesto nelle prime tre votazioni è tale che solo un accordo con le opposizioni permetterebbe di andare a dama prima di venerdì. La trattativa è serrata: Salvini alza il prezzo, vuole almeno un altro ministero. Sembra il solito suk, inevitabile quando si forma un governo, che diventa frenetico nelle ultime ore. Non è solo così: si capisce quando Giorgia, a sera, tira fuori una nota in apparenza poco comprensibile: "I governi sono politici quando hanno un mandato popolare, una guida politica, una maggioranza nata nelle urne e non nel Palazzo, un programma e una visione chiari". Per questo, spiega, "coinvolgeremo le persone adatte: nessuno si illuda che cambieremo idee. Il nostro sarà il governo più politico di sempre".

È chiaro a chi si rivolge: a Salvini e Berlusconi. Lei smentisce attriti, professando ottimismo: dice che oggi vedrà gli alleati e farà una proposta "generosa" che ritiene porrà fine alla diatriba e "sarà accettata" dai due leader. Che ieri si sono incontrati a Villa Grande concordando nel ritenere inadeguato e poco politicamente connotato il disegno della futura premier: esecutivo politico ma con dentro i tecnici necessari per fronteggiare la crisi. In realtà, la formula Meloni è un obbligo più che un’opzione. Ieri ha incontrato il ministro uscente dell’Economia Daniele Franco: hanno discusso, tra le altre cose, della legge di bilancio che dovrà essere varata a spron battuto. Con poco tempo e pochissimi soldi non sarà una passeggiata. Come se non bastasse è arrivata la mazzata del Fmi: la recessione esploderà nel 2023. Il governo double-face è indispensabile, per la leader di FdI, per rispondere all’emergenza. Gli alleati non sono d’accordo: per far saltare il disegno hanno adoperato la trattativa sui ministeri e sulle presidenze, trasformandola in una guerriglia.

Preso atto dell’indisponibilità di Fabio Panetta, la quasi premier ha capito che un politico forte è meglio di un tecnico di ripiego: il solo nome spendibile è quello di Giancarlo Giorgetti ed è stata lei a proporre a Salvini il numero due della Lega. Nessuna preclusione, la replica, purché sia chiaro che va considerato un tecnico, e che i quattro ministeri che Matteo vuole non si toccano: Agricoltura, Riforme, Mise e Infrastrutture, dove potrebbe andare lui che, ufficialmente, continua a puntare sul Viminale utilizzandolo quale arma di disturbo, ma che comunque andrà a un tecnico di sua fiducia: Matteo Piantedosi. Sempre che basti perché in cambio della presidenza del Senato, casella fondamentale per comporre il puzzle, reclama qualcosa di più: "Vale due ministeri".

Berlusconi si è mosso nella stessa direzione. Il durissimo braccio di ferro su Licia Ronzulli dovrebbe far sì che la fedelissima entri nella squadra, probabilmente al Turismo. Ma la sfida è servita anche ad aprire la strada verso la Giustizia cui Silvio vuole Elisabetta Casellati o Francesco Paolo Sisto. Per Antonio Tajani è pronto il ministero degli Esteri, ma il Cavaliere chiede pure il Mise e il ministero per il Sud. Insomma una manovra che mira, dicastero per dicastero, a rendere impraticabile la formula della Meloni. La quale assicura che oggi arriverà al vertice con una soluzione che chiuderà la partita.