Venerdì 10 Gennaio 2025
PIER FRANCESCO
Politica

La liberazione di Cecilia Sala: "Il giorno più bello da premier". Meloni: con Trump rapporto solido

La presidente del Consiglio lascia aperta la possibilità di essere a Washington per l’insediamento. Rivendica l’intesa transatlantica e un ruolo da protagonista per l’Italia sullo scacchiere internazionale.

La presidente del Consiglio lascia aperta la possibilità di essere a Washington per l’insediamento. Rivendica l’intesa transatlantica e un ruolo da protagonista per l’Italia sullo scacchiere internazionale.

La presidente del Consiglio lascia aperta la possibilità di essere a Washington per l’insediamento. Rivendica l’intesa transatlantica e un ruolo da protagonista per l’Italia sullo scacchiere internazionale.

De Robertis Le domande di politica estera che solo tre giorni fa non avrebbero fatto dormire Giorgia Meloni, si sono trasformate durante la conferenza stampa di fine anno nel jolly che ribalta il tavolo. E se il filo temporale che lega la visita a Mar-a-Lago, le critiche di parte delle opposizioni alla trasferta americana, la liberazione di Cecilia Sala e l’incontro di ieri l’avessimo osservato in un film, il commento sarebbe stato: è un’americanata, è troppo prevedibile e scontato. Verrebbe quindi da dire: liberata Cecilia Sala, tutto il resto è noia. Ma non è così, non è stato così. Innanzitutto per i toni con cui la premier ha raccontato i momenti del contatto con la giornalista e la sua famiglia ("la telefonata con la mamma di Cecilia è stato il momento più bello da quando sono al governo"), mettendoci quel non detto di sottofondo da madre a madre che ha reso l’idea della reale commozione della presidente del Consiglio. Poi perché l’operazione-Sala è stata ed è solo uno dei dossier esteri che il governo si trova a dover affrontare in una fase crucialissima per i rapporti internazionali, con un’amministrazione Usa che si insedia, una guerra in Europa che tutti non vedono l’ora di finire in qualche modo, un Medio Oriente nel pieno di una ridefinizione dei rapporti di forza, una Commissione europea al debutto di un quinquennio decisivo e infine la possibile affermazione in Europa di partiti di estrema destra. Forte del risultato ottenuto due giorni fa a Teheran e cosciente che gli esteri sono il settore nel quale nei due anni di governo ha ottenuto i risultati più convincenti, la Meloni ha potuto quindi giocare a modo suo la partita con i giornalisti. Si è tenuta alla larga dai dettagli della trattativa con Usa e Iran, ma tra una riga e l’altra ha detto non poco, cercando di rivendicare, per quanto possibile, un ruolo da protagonista per l’Italia su entrambi i fronti. Perché la sostanza di quanto accaduto va oltre il tanto citato scambio di figurine tra prigionieri, suggestione da Ponte delle spie, ma intacca contemporaneamente le relazioni con la nuova amministrazione Usa e il ruolo dell’Italia nella crisi mediorientale. Con Trump la premier ha spiegato di voler "un rapporto solido, non so se dire privilegiato", facendo intendere di ambire a mantenere la salda intesa transatlantica che per la verità c’è stata anche con Bush, ma nello stesso tempo di non voler indossare i panni della turbosovranista d’antan alla Salvini, toni usati fino a qualche anno fa ma che il ruolo assunto adesso in Europa le permetterebbero più. Lasciando una finestra aperta sulla possibilità di attraversare di nuovo l’Atlantico per l’inauguration day del 20 gennaio e mantenendo un occhio fisso anche agli sviluppi dell’affare Starlink. La Meloni si è divertita poi a svolgere il ruolo di esegeta delle scoppiettanti affermazioni di Trump a proposito di Canada e Groenlandia, invitando tutti a leggere Trump oltre Trump: attenzione, ha detto la premier, Trump vuole mettere l’accento sul fatto che in certe zone del mondo ha messo gli occhi anche la Cina, ed era a Pechino che erano rivolte quelle parole. Con l’Iran e di conseguenza con tutto il fronte Medio Oriente la premier è stata molto cauta e questo pare già una presa di posizione. Non solo perché la partita Sala-Abedini non è ancora al triplice fischio, ma anche perché quanto chiesto all’Italia da Teheran, e che forse l’Italia ha concesso, è il riconoscimento di un ruolo che va svanendo con le difficoltà crescenti che il regime teocratico sta accusando in patria e fuori. Si è parlato di un invito a Roma per il presidente iraniano, vedremo che cosa accadrà. Non è mancato poi un accenno all’Ucraina, e anche qui il riferimento è agli Usa. "Non credo che Trump lascerà Kiev al suo destino. Noi accetteremo solo soluzioni che facciano contenta l’Ucraina". Come dire, barra dritta, la musica non cambia. Nell’incontro con Zelensky avvenuto ieri sera a palazzo Chigi, è andato in onda quello che non ha potuto raccontare ai giornalisti.