A Palazzo Chigi non se l’aspettavano e la sorpresa non poteva essere meno gradita. Il Capo dello Stato firma sì la legge annuale per il mercato e la concorrenza – atto indispensabile per non far saltare la quarta rata del Pnrr –, ma la accompagna con un monito tanto pesante quanto preciso: esagerata la proroga di dodici anni delle concessioni di aree pubbliche per gli ambulanti, cozza con le norme europee in tema di servizi, contenute nella cosiddetta direttiva Bolkestein. Nella missiva – indirizzata alla premier e ai presidenti di Camera e Senato – invita governo e Parlamento a rimetterci mano rapidamente. Come – ricorda – d’aver fatto a febbraio per i balneari, ma i suoi rilievi non sono stati "ancora" soddisfatti. Sergio Mattarella, insomma, fa quadrato con l’Europa. Mette sul piatto della bilancia il peso morale della più alta istituzione italiana, lo aggiunge alla minaccia molto più materiale di Bruxelles: una nuova procedura d’infrazione. Se in tema di balneari le risposte italiane attese entro il 16 gennaio per il rinvio delle gare per la concessione di demanio marittimo non saranno ritenute soddisfacenti, rischiamo sanzioni che, come è noto, sono coperte con i soldi dei contribuenti. L’esecutivo ci prova, ma le trattative non decollano. "Nel merito non è un’interlocuzione semplice", ammettono da Fratelli d’Italia.
Il guaio stavolta è davvero di serie A. Il governo non ha alcun interesse, e chi lo guida neppure alcuna intenzione, di arrivare allo scontro con il Capo dello Stato. Popolarissimo nel Paese e appena omaggiato nella notte di Capodanno dalla stessa premier. Forse anche per questo, da Palazzo Chigi quasi si giustificano affermando di non aver mai saputo niente dei dubbi del presidente: dal Colle, invece, con la dovuta discrezione smentiscono e assicurano di aver formalizzato gli appunti dalla scorsa primavera. Ancor meno interesse Giorgia ha nell’innalzare ulteriormente la tensione con Bruxelles che, nonostante la resa sul Patto di stabilità, è tornata alta dopo lo strappo sul Mes. Qualche segnale c’è già – notano nel suo giro – perché l’Europa ritarda il parere su Ita-Lufthansa e sta facendo calare le quotazioni di Roma come sede dell’Amla ( Autorità Europea Antiriciclaggio). E tuttavia queste considerazioni non bastano a smuovere il governo e, soprattutto, il partito tricolore: "Per gli ambulanti siamo intervenuti per sanare una disparità di trattamento tra operatori che, a seguito di una norma del 2020, avevano ottenuto un rinnovo di 12 anni e molti altri che invece non ne avevano potuto usufruire per inerzia dei comuni interessati", sottolinea Carlo Fidanza, capo delegazione FdI–Ecr al Parlamento europeo.
Ma il problema è che quei dodici anni al Quirinale e a Palazzo Berlaymont sembrano un’eternità inaccettabile. Cui va aggiunto – come notano esponenti dell’opposizione – il caos negli enti locali. Per la premier e il suo partito gli ostacoli che impediscono, almeno per ora, di avvicinarsi all’unica soluzione possibile sono due. Il primo sono i balneari stessi, una corporazione che fa parte dello zoccolo duro elettorale della destra. "Sorprende davvero che il Quirinale, con tutti i problemi che attanagliano il Paese, trovi il tempo per porre l’attenzione sulle concessioni", riassume umori diffusi Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari Confindustria. Sconfessato dal leader degli industriali, Carlo Bonomi: "Non mi riconosco assolutamente in queste critiche. Con Mattarella c’è condivisione totale e gratitudine".
Il secondo, e ben più corposo problema, si chiama Lega: "Figurati se lasciamo questo spazio a Salvini", commentano da via della Scrofa. Salvini, si sa, in materia d’Europa ha interessi diametralmente opposti. Se c’è un’occasione di scontro, Giorgetti permettendo, ci si butta capofitto. "La Lega è impegnata, per garantire diritti e futuro alle migliaia di lavoratori e imprenditori del commercio ambulante e del settore balneare. Non ci arrendiamo a chi, nel nome dell’Europa, ha provato a svendere lavoro e sacrifici di migliaia di italiani", fanno filtrare dal Carroccio. Insomma: la soluzione dovrà aspettare. Quanto? Sei mesi. Quanti ne mancano perché vengano celebrate le elezioni europee. A urne chiuse – ammettono a mezza bocca dal governo – se proprio non lo si potrà evitare un intervento ci sarà nella nuova legge per la concorrenza. Non prima, per non lasciare spazio alla Lega. Ma sei mesi sono moltissimi: c’è tutto il tempo perché arrivino a dama le procedure d’infrazione. Una mazzata pesantissima e chissà se vale la pena di rischiarla per non lasciare qualche voto a Salvini.